Ogni qualvolta il colonnello Gheddafi viene in Italia e si abbandona alle sue stravaganze, abbiamo due tipi di reazioni. Da una parte ci sono quelle dei benpensanti, che si ricordano della cacciata dei nostri connazionali dalla Libia nel 1969, dei missili di Lampedusa, dell’appoggio di Tripoli al terrorismo internazionale e delle valanghe di insulti di cui ci ha ricoperto in passato e si domandano se valeva proprio la pena stringere un patto di amicizia con un personaggio del genere e accoglierlo a Roma non solo con tutti gli onori, ma anche con licenza di fare i suoi comodi. La loro risposta - di norma- è che Gheddafi è un dittatore africano dei peggiori, ma che la Libia è la nostra maggiore fornitrice di idrocarburi, che da quando abbiamo chiuso la controversia del colonialismo offre ottime occasioni di lavoro alle nostre imprese e che, almeno fino adesso, tiene fede al patto di bloccare la partenza dai suoi porti dei clandestini africani diretti a Lampedusa. Pertanto, pur mantenendo il giudizio negativo su Gheddafi e il suo regime, fanno buon viso a cattivo gioco e chiudono un occhio sulle sue mattane in nome della realpolitik.
Se il colonnello invita tutta l’Europa a convertirsi all’islam, è solo wishful thinking , un suo sogno impossibile. Se gli piace spendere i suoi soldi per radunare cinquecento sciacquette per fargli lezioni di Corano e convertirne qualcuna che spera di fare carriera nella televisione libica, affari suoi. Certo, se fosse un po’ meno ingombrante, un po’ meno esibizionista e magari diradasse un po’ le sue visite, sarebbe meglio, ma è comunque preferibile quando fa i suoi show romani che quando ci ricattava e ci lanciava accuse un giorno sì e l’altro anche. Dall’altra, abbiamo le reazioni piene di ipocrisia cui si è abbandonata in queste ore l’opposizione, cui, più che prendersela con il colonnello, interessa approfittare dell’occasione per mettere sotto accusa Berlusconi.
La visita serve a rilanciare la polemica sui respingimenti degli immigrati, sui costi della chiusura del contenzioso con la Libia, sulle violazioni dei diritti umani commesse nella Jamarryia, su presunti quanto fantasiosi affari tra le aziende del premier e il regime tripolino. Le sinistre dimenticano che il presidente del Consiglio è riuscito - a un costo inferiore a quello che avrebbero pagato loro - a portare a casa un trattato che sia Prodi, sia D’Alema avrebbero fatto moneta falsa per concludere. Dimenticano che, nell’accettare il pattugliamento congiunto delle sue frontiere marittime, la Libia ci ha consentito di ridurre di quasi il 90 per cento l’arrivo di clandestini dall’Africa. Dimenticano che la richiesta di un indennizzo per i danni - veri o presunti che siano - inflitti dal colonialismo italiano alla Libia risalgono ancora alla prima Repubblica e che almeno ora, con il trattato di amicizia, abbiamo la ragionevole garanzia che i soldi versati torneranno in gran parte indietro sotto forma di commesse a imprese italiane.
Ma, soprattutto, dimenticano che, per quanto Gheddafi possa riuscirci antipatico e magari anche un po’ repellente,è pur sempre un dittatore pentito, che ha finito da tempo di appoggiare il terrorismo, che pur facendodel proselitismo da operetta combatte seriamente i fondamentalisti e che ha rinunciato alle armi nucleari,
biologiche e chimiche per riacquistare la rispettabilità internazionale. È cioè meglio di tanti altri dittatori, presenti e anche passati, a cominciare da Fidel Castro, che le sinistre portano tuttora in palma di mano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.