Il presidente dellAssociazione nazionale magistrati Luca Palamara ha preso la parola ieri in un convegno sullobbligatorietà dellazione penale in Italia, indetto dai Radicali. Lasciamo da parte lobbligatorietà che è un ipocrita idolo di addetti ai lavori (quando un pubblico ministero è alle prese con centinaia o migliaia di fascicoli, e ne attiva alcuni lasciando dormire gli altri, si adegua a un criterio di discrezionalità e non di obbligatorietà). Il fatto che la magistratura sostenga il contrario non modifica questa realtà. Dunque Palamara, in un intervento a tutto campo, ha riconosciuto che «la situazione è ai limiti dello sfascio, ai limiti della credibilità sia nel campo penale sia nel campo civile». Ha aggiunto che «tutti noi operatori del diritto non riusciamo ad erogare il servizio giustizia in tempi ragionevoli». Non una rivelazione strabiliante, ma un riconoscimento utile.
Sennonché a me sembra che nel resto delle sue argomentazioni il dottor Palamara abbia avuto - come molti suoi colleghi del passato e di oggi- latteggiamento di chi accusa: e attribuisce a malefiche forze esterne i difetti gravissimi dun organismo del quale i magistrati rappresentano lessenza. La giustizia andava in malora quando le toghe ne fissavano la struttura. Ovvio allora che una riforma seria debba almeno in parte disfare ciò che è stato malamente fatto: anche se infastidisce la corporazione che del malfatto porta la responsabilità.
Sono intollerabili certi toni arroganti di certi magistrati. Così come sono a mio avviso eccessive alcune prese di posizione contro i magistrati. Da chi li critica - spesso a ragione - viene avanzata la richiesta duna legge che preveda la loro punizione quando sbagliano. Ma la legge esiste già, risale al 1988, e prevede un risarcimento per i cittadini danneggiati da ciò che un magistrato ha deciso con dolo o colpa grave. La legge non ha funzionato: perché il risarcimento spetta allo Stato che può poi rivalersi sul magistrato decurtandogli lo stipendio al massimo dun terzo, e perché ogni tappa della vicenda - primo processo fino a sentenza definitiva, istanza di risarcimento rivolta allo Stato, istanza dello Stato contro il magistrato - ha una prevedibile durata di anni. Le proposte più recenti vorrebbero che il magistrato rispondesse in proprio, e sottintendono che il magistrato sia colpevole se in un successivo grado di giudizio una sua decisione è stata ribaltata.
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