Perché l’Agenzia delle Entrate non rende noti tutti i redditi?

(...) Ma la ricchezza è un’altra cosa: se a quei 90mila ci levate il 43 per cento di Irpef, un altro 13 per cento di contributi previdenziali, magari l’affitto per i non proprietari di casa e due, tre o quattro figli a carico, non ne rimane moltissimo. Shakerate il tutto e spiegatemi dov’è la ricchezza. Un conto è uno stipendio buono o ottimo, un conto è la ricchezza.
Andiamo avanti. I signori di cui abbiamo appena parlato, pagando tutte le tasse dirette, sono anche quelli che pagano tutte quelle indirette dalla prima all’ultima lira: penso agli asili o alle mense scolastiche, ma anche ai ticket in farmacia. Sarò sfortunato, ma qui in Liguria - dove il reddito lordo familiare, lordo familiare, ripeto - per non pagare il ticket è di poco più di 36mila euro, non una cifra stratosferica, vedo firmare quasi tutti coloro che acquistano farmaci. E firmare significa non pagare. Tutto bene, se non fosse che tanti di coloro che firmano, magari hanno in mano borsette di gioiellerie e di griffe di moda.
Insomma, come scrive giustamente spesso su queste pagine anche Vittorio Feltri, rendere noti i redditi dei cittadini è un esercizio di giustizia sociale. Vincenzo Visco, qualche anno fa lo fece, una delle poche cose buone per cui è ricordato. Poi, dato che probabilmente non era in grado di farlo bene fino alla fine, Visco sbagliò modi e tempi, visto che lo fece l’ultimo giorno di mandato, quando già gli scatoloni di Giulio Tremonti erano pronti per entrare nell’ufficio.
Ma, al di là dello stile, quell’«operazione trasparenza» di Visco fu sacrosanta. Qui a Genova noi del Giornale fummo gli unici a pubblicare i redditi maggiori suddivisi per categorie, e ci furono sorprese straordinarie: capitani di impresa nullatenenti; signore che solitamente sono ingioiellate fin sopra i capelli con redditi da mensa dei poveri; responsabili di associazioni di categoria con dichiarazioni da piattino per strada.
In compenso, non mi scandalizzai per le dichiarazioni-monstre. Anzi. Condivido poco o nulla di Beppe Grillo, ma il fatto che pagasse tasse su quattro milioni di euro o giù di lì, credo che gli rendesse onore. Idem per calciatori che magari non stimo per nulla in campo, ma che mi piacciono un po’ di più come contribuenti (sempre che le tasse le paghino loro e non provino a farle pagare alle società).
Ecco, in questi giorni, credo che un’operazione trasparenza sui redditi ci vorrebbe.
Qualche mese fa, noi ci abbiamo provato. Rimbalzati dall’Agenzia delle Entrate in nome di un malinteso senso della privacy e del rispetto dei cittadini. Siamo stati riempiti di circolari esplicative che spiegavano come il Fisco non fosse tenuto a darci i dati, anche se la legge prevede che siano pubblici. Tanto che, anche prima di Visco, bastava andare agli uffici di via Fiume e scartabellarsi chili di pratiche, per conoscere i 740, i 730 e gli Unico di tutta la città.
Ora, questo non è più possibile. Ma, ribadisco, in nome di circolari che sembrano contraddire leggi. E questo non è possibile per la gerarchia delle fonti. E allora?
I vertici genovesi dell’Agenzia delle Entrate sono recentemente cambiati e - anche se sappiamo che tutto partiva da direttive romane e non c’erano responsabilità personali dei funzionari - speriamo che, con le facce, cambino anche le interpretazioni delle leggi e le risposte.
Soprattutto, speriamo che quello che abbiamo letto sul Secolo XIX di ieri, in una interessante e bella pagina di Matteo Indice, non diventi una caccia classista a coloro che mandano i figli alle scuole private. Magari lo fanno perché, come avviene in alcune sezioni di Sampierdarena o della Val Bisagno, gli iscritti alle pubbliche sono tutti extracomunitari. E mica per motivi di razza, per carità. Ma, semplicemente, perché se tutti i bimbi non sono di madrelingua italiana, è più difficile spiegare loro l’italiano. Molto semplice, no?
Poi, certo, sono giustissimi i controlli sui redditi di chi sceglie istituti di lusso, di chi noleggia yacht e aerei, di chi si può permettere mega rette per il fitness o per collezioni d’arte o per il posto barca. Ma senza demonizzarli a priori, solo controllando se pagano tutte le tasse.
Per me, in ogni campo, vale sempre il detto «male non fare, paura non avere» e quindi, chi paga tutto non può temere nulla. Nemmeno un controllo in più.
Però, in questo quadro, è giusto che l’Agenzia delle Entrate renda noti tutti i redditi. La direttrice regionale del Fisco ha spiegato: «Ciò a cui miriamo è l’isolamento sociale dell’evasore, come avviene in altri Paesi».

Perfetto, ma allora, ribadisco, ognuno giochi a carte scoperte e dica quanto dichiara.
Perché quella per la trasparenza dei redditi è una delle battaglie della vita per il nostro Paese (e anche per Genova).
Sempre che non si abbia niente da nascondere, ovvio.

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