Perché rimpiangeremo Schumacher e non Montoya

Mentre Mancini deve iscrivere anche il Cagliari tra i subdoli complottisti che vogliono destabilizzare l’Inter, il mondo dello sport ammutolisce davanti al campione assoluto: Michael Schumacher. La nuova impresa del pilota tedesco non aggiunge ovviamente nulla al suo mito, perché un gran premio in più non cambia quello che già è e che sempre resterà. Però riconosciamolo adesso, prima di sapere come andrà a finire, quanto va riconosciuto: la grandezza di un uomo capace d’andarsene nel momento del massimo splendore, cioè quando è più difficile, perché comporta serie rinunce. A soldi, a successi, a popolarità. Tant’è vero che questa scelta di tempo riesce a pochissimi: è riuscito a Platini, è riuscito ad Indurain, non è riuscito a tanti altri. Più facile, molto più facile lasciare in fondo al viale del tramonto: magari è ugualmente penoso e triste, ma almeno non prevede rinunce. È una scelta obbligata. Un passo ancora e si sconfina direttamente nel patetico.
No, non abbiamo apprezzato appieno il gesto di Schumacher. Ancora adesso, i commentatori di settore chiudono il collegamento con la fatidica frase: peccato che un pilota così ci lasci, potrebbe dare ancora molto. Peccato di che? Dare ancora che? Una stagione o una vittoria in più non cambierebbero la reputazione di Schumi. Andasse avanti, potrebbe solo rovinarla. Che l’abbia capito adesso, molto prima di farselo spiegare brutalmente dal primo declino, accresce di molto il senso superiore della decisione.
Di fronte a moltitudini di vecchie lenze che vivono di rendita le ultime stagioni, gettando svaccatamente sul tavolo il ricordo di se stessi, Schumi sta giocando le partite finali esattamente come le prime. Dopo sei mondiali dicevano che correva il rischio d’essere appagato. Dopo sette mondiali, peggio ancora. Invece è ancora qui intatto, alle soglie dell’ottavo, capace di regalare sorpassi geniali e azzardi spettacolari alla platea annoiata della F.1 moderna. Come fa? Perché rischia ancora? Ce lo chiediamo increduli, ma la risposta è semplicissima: gli immensi hanno questo passo naturale. Non possono fare altrimenti. Maradona non poteva svirgolare un rinvio neanche sotto tortura, perché svirgolare non faceva parte del suo bagaglio naturale. Merckx non poteva pedalicchiare in fondo al gruppo, perché questo non gli era naturale. I fuoriclasse veri non devono imporsi niente: quando esercitano, sono stabilmente al di sopra della media.
Certo, Schumi mancherà. Ma il ricordo di come se n’è andato aiuterà a ricordarlo ancora meglio, arrivi o non arrivi un altro titolo. Non lo rimpiangeranno i Briatore, che l’hanno salutato imputandogli di non essere mai stato personaggio. Molto più personaggio Montoya, s’è sentito dire. Sapendo bene che cosa i Briatore intendano per personaggio, si comprende perché Schumi debba finire nella classifica degli antipatici, o degli anonimi, o degli amorfi. Lui non va in giro per reality e non balla sui tavoli a notte fonda.

In orario di lavoro è un maniacale perfezionista, nel tempo libero sta con i figli e al massimo tira due calci al pallone. Eppure, pensa la stranezza: a molti di noi, che Montoya l’hanno dimenticato in tre giorni, Schumi mancherà persino come personaggio.

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