È sempre più difficile fare previsioni sul futuro del mercato europeo dell’auto. Le vendite languono e le agenzie di rating, Fitch nel caso, mettono in guardia i costruttori di grandi volumi come Fiat, Renault, Peugeot e Citroën: «I miglioramenti sui costi e i processi di produzione registrati dopo la crisi del 2008/2009, potrebbero non essere sufficienti per risolvere le questioni fondamentali di sovraccapacità non affrontate e una redditività bassa, o anche negativa, nei mercati strategici europei». Urge, a questo punto, ripensare le strategie industriali per scongiurare provvedimenti drastici, come la chiusura di impianti, per altro già ventilati in Francia (Psa) e Germania (Opel). Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e Chrysler, sembra aver trovato il sistema di aggirare questo rischio, «nell’interesse della Fiat e del Paese», come ha puntualizzato nell’intervista rilasciata al Corriere. L’asso nella manica, in questo caso, si chiama guarda caso America: dare infatti agli stabilimenti italiani la mission di produrre per esportare oltre l’Atlantico, sarebbe per il top manager il salvagente per gli impianti della penisola. Allo stesso tempo, però, dopo aver assicurato che «tutti gli stabilimenti staranno al loro posto», Marchionne scopre il retro della medaglia: «Abbiamo tutto per riuscire a cogliere l’opportunità di lavorare in modo competitivo anche per gli Usa, ma se ciò non accadesse dovremmo ritirarci da due siti dei cinque in attività». Tanto è bastato, proprio nelle ultime righe della lunghissima intervista al quotidiano, per scatenare nuove polemiche e dare il via al solito «toto fabbrica». Partiamo da quest’ultimo aspetto. A rischiare, secondo alcuni sindacalisti, potrebbero essere, in particolare, due impianti, quelli più sbilanciati verso gli Stati Uniti: Torino-Mirafiori, che dal prossimo anno inizierà a produrre lo sport utility di taglia compatta Jeep (questi modelli vanno di gran moda e occuperanno un ampio spazio all’imminente Salone di Ginevra) e, successivamente, il «gemello» targato Fiat; e Grugliasco, sempre nell’area torinese, dove nel 2013 nascerà la Maserati «baby», cioè di segmento E, pure destinata in larga parte al mercato statunitense. Anche Cassino potrebbe essere preso in considerazione, se sarà confermata la sua nuova mission Alfa Romeo. Quello di Marchionne, comunque, non è stato l’annuncio di chiusura di due fabbriche, ma l’avvertimento - l’ennesimo, ma ancora più concreto (l’ad ha ricordato il film «La scelta di Sophie»), viste le prospettive del mercato europeo - che se non si creeranno le condizioni di competitività attese, il destino per due siti risulterà segnato. «Sapete perché - spiega - gli Usa funzionano con un costo orario più alto di quello italiano? In quanto si utilizzano in modo pieno e flessibile gli impianti. L’Italia deve tenerne conto».
Resta da vedere quale atteggiamento terrà l’azionista (gli Agnelli), nella malaugurata ipotesi che al centro delle chiusure ci fossero i siti torinesi. A uscire dal coro delle critiche al monito di Marchionne è la Fismic di Roberto Di Maulo: «Noi stiamo lavorando per una maggiore produttività agli impianti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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