Il perito accusa Stasi: «Lavò la bici per togliere il sangue di Chiara»

MilanoQuanto tempo è passato dal giorno dei funerali di Chiara Poggi, quando i genitori della ragazza uccisa vollero nella chiesa di Garlasco, seduto accanto a loro, di fronte alla bara coperta di fiori, il fidanzato Alberto Stasi. Oggi, quando l’inchiesta è ormai chiusa e mancano appena sette giorni all’udienza preliminare contro Alberto, sono proprio i genitori e il fratello di Chiara a puntare con più decisione il dito contro questo ragazzo dagli occhi singolarmente chiari. Più ancora degli atti della Procura di Vigevano, sono le relazioni dei consulenti della famiglia Poggi a indicare senza tentennamenti che non serve cercare la verità in nessuna direzione diversa. Perché - dicono - ci sono le prove indiscutibili che a fare scempio della minuta, seria, tranquilla ragazza di paese fu Alberto. Quell’Alberto che avevano accolto in casa con fiducia, e a cui guardavano come uno di loro.
L’atto d’accusa finale della famiglia sta nelle dodici pagine della perizia che un medico legale milanese, Marzio Capra, ha stilato tornando ad analizzare la scena del delitto, le scarpe di Alberto, la sua bicicletta: l’ormai famosa bici da uomo con cui si sarebbe allontanato dalla casa dei Poggi dopo i delitto, e su cui i Ris di Parma affermarono di avere trovato tracce di sangue, e convinsero così la Procura a spedire Stasi in carcere. Subito dopo si scoprì che non era sangue ma una vaga traccia di Dna, e Stasi venne scarcerato. Ma Marzio Capra torna a occuparsi della bici del giovane: per affermare che appare esageratamente pulita, come se fosse esposta in un negozio. «Significa che Stasi l’ha lavata», dice Capra: evidentemente, per cancellare le tracce.
Il perito torna ad occuparsi anche delle scarpe Lacoste che il ragazzo dice di avere indossato quando scoprì il corpo di Chiara: impossibile che non fossero sporche di sangue. Io stesso, dice il dottor Capra, ho provato a entrare a casa Poggi molti giorni dopo, e sulle mie soprascarpe ho raccolto innumerevoli tracce di sangue. E poi ancora: impronte di Alberto sul portasapone nel bagno di casa, lo stesso dove l’assassino si lavò del sangue di Chiara.
Insomma, la sequenza vera sarebbe questa. Alberto si presenta a casa Poggi tra le 10 e le 11, dopo avere lavorato un po’ alla tesi e avere guardato qualche foto porno. La sera prima ha guardato altre foto simili con Chiara: forse hanno litigato, il computer - dice il perito - è stato spento di colpo. Con sé deve avere già l’arma che userà per uccidere Chiara, e che non verrà mai ritrovata. Colpisce la fidanzata subito, con violenza, alla nuca, mentre lei è girata all’inizio delle scale. Infierisce, le mani si riempiono di sangue. Chiara è esanime, è morta o sta morendo. Alberto si lava le mani, inforca la bici, fugge a casa senza essere visto da nessuno, come nessuno lo ha visto arrivare. Si accorge di avere le scarpe piene di sangue. Le butta via. Mette ai piedi le Lacoste pulite. Ma il sangue ha sporcato anche la bicicletta. Alberto lava la bici minuziosamente. Toglie la terra, la polvere, il sangue. Ma una minuscola traccia rimane, invisibile a occhio nudo, sul pedale. Poi lancia l’allarme, con quella telefonata al 118 che - registrata e riascoltata - suona oggi fin troppo fredda, quasi a diventare elemento ulteriore di sospetto.
Ma è davvero andata così, in quella mattina di orrore? Le perizie di Capra e dei Ris basteranno a convincere il giudice preliminare a mandare Alberto Stasi a giudizio con un’imputazione da ergastolo? Il processo - se al processo si arriverà - si annuncia indiziario, difficile, contrastato, retto com’è su prove inconsuete, quasi capovolte rispetto all’ordinario: non le tracce di sangue ma la loro assenza, una bicicletta troppo pulita. Intanto si divide l’opinione pubblica, su Facebook si creano i gruppi pro-Stasi e anti-Stasi. A convincere i colpevolisti sono anche dettagli apparentemente irrilevanti: gli occhi troppo chiari di Alberto, la sua freddezza, la sua rinascita troppo rapida.

Lui, rompendo il silenzio per la prima volta, parla con Libero: e non fa nulla per scrollarsi di dosso questo marchio di freddezza. «Aspetto con tranquillità. Ho studiato gli atti del processo: ne colgo al volo gli errori. Quando sei dentro non ti sfugge nulla».

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