Persa l'egemonia culturale ora la sinistra fa la padrona dell'estetica

È sufficiente entrare nell’aula di un’università italiana per accorgersi di quante siano le ragazze che studiano per raggiungere un posto di rilievo nella società. Ed è sufficiente gettare un’occhiata a dati statistici sul ruolo delle donne nel mercato del lavoro per accorgersi con quanta dedizione, studio e fatica il mondo femminile affronti la vita.
Le polemiche sul velinismo italico di marca berlusconiana potrebbero finire qui, davanti alla realtà dei fatti che smentisce tanta cattiveria e malafede dell’informazione. Tuttavia da che mondo è mondo, la lotta politica ha sempre usato per propri fini la disinformazione. Chi conosce le vicende interne del Pci sa bene che nelle sue scuole di partito si studiava la «disinformazia», termine volutamente storpiato per ricordare i fratelli sovietici. La questione, da far inorridire un intellettuale dirigente come Palmiro Togliatti, è che nella «disinformazia» sono entrati i seni e i sederi delle belle donne appena coperti da tenui veli: veline, appunto. Un disastroso segno di decadenza, che però anche un inflessibile come Togliatti avrebbe finito per ammettere, perché quando si tocca il fondo non resta che raschiarlo per portare a casa qualcosa.
Ecco, allora, il florilegio di banalità con cui si mette all’indice la femmina velina, prodotto degenerato dell’era berlusconiana, senza rinunciare a rovistare vecchi slogan femministi che riescono perfino a svilire le rivendicazioni delle donne di trent’anni fa.
Tutti i discorsi di questa sinistra impegnata a raschiare il fondo del barile, condannano la seduzione del corpo, principio di ogni corruzione, dimenticando che la bellezza, per sua natura, non è democratica ed egualitaria: c’è chi la possiede e chi no. Dimenticando anche che, da sempre, per dimenticare la crudeltà della natura si cerca di collegare la bellezza del corpo a qualche virtù morale, per evitare che la bellezza fisica e la sua forza seduttiva risplendano indipendentemente da ogni altra qualità.
Si dice allora: «Non è bella fuori, ma è bella dentro!». D’accordo, ma intanto fuori è brutta. Ed è questa differenza, inflitta dalla natura - non dalla società, non dalla cultura - che, per esempio, in Leopardi diventa un grande tema drammatico della sua lirica, mentre per l’intellettuale-giornalista di sinistra è l’occasione per rendere grottesca la sua «disinformazia» nella titanica lotta contro seni e sederi velinati.
C’è tuttavia un ma. Ho seguito, credo, con attenzione tutta questa vicenda delle veline (chiamiamola così), anche perché le questioni di estetica riguardano il mio lavoro. Nella marea montante di righe, parole e immagini radiotelevisive ho letto un articolo di questi intellettuali-giornalisti di sinistra serio e vero che toccava il cuore del problema. In questo articolo si coglie con precisione che la possibile strategia vincente della sinistra italiana dopo la caduta del Muro di Berlino è la pratica dell’interdizione. Interdizione culturale verso chi non appartiene all’area di sinistra e non entra nella sua consorteria: si relegano ai margini e si ignorano coloro che non appartengono al clan di Repubblica, Espresso, della Terza rete Rai. Interdizione giudiziaria: si ricordi e si guardi ora con quali discriminanti opera la magistratura. Interdizione accademica e della ricerca scientifica: qui non mi soffermo perché scrivo praticamente un articolo un giorno sì e uno no. E adesso l’interdizione estetica.
Quello che non ammettono questi radical chic conformisti e benpensanti di sinistra è di non poter controllare l’autonomia estetica della comunicazione di Berlusconi e della nuova libertà sociale che ha rivoluzionato i modelli estetici fin qui governati dai radical chic almeno a partire dal ’68.


Chi conosce la nostra cultura sa che i messaggi estetici sono fondamentali - se confezionati ad arte - nella comunicazione politica (e non solo, ovviamente) e perderne il controllo è un grave danno da evitare. Per questo la sinistra, dopo averci inflitto l’interdizione culturale, giudiziaria, accademica ci sta preparando quella estetica: cerchiamo questa volta di reagire.

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