Persino D’Alema scende in piazza: «Troppi tagli, non si può lavorare»

Il blitz del ministro degli Esteri al vertice di maggioranza sulla Finanziaria spiazza Padoa-Schioppa e lo costringe a una «modulazione più ragionevole». Il lamento dei capigruppo: «Non possiamo risolvere tutto noi, se ne occupi Prodi»

Laura Cesaretti

da Roma

«La questione è molto semplice: con tagli di questa portata il ministero degli Esteri non potrà funzionare».
Di buon mattino a Montecitorio, dove i capigruppo dell’Unione erano riuniti col ministro Chiti e il viceministro Visco per l’ennesimo vertice sulla Finanziaria, si è materializzato Massimo D’Alema. Ha scelto di presentarsi di persona, per sollevare un problema che nelle ultime ore ha aperto un nuovo braccio di ferro dentro la maggioranza e il governo e messo in agitazione tutti i singoli ministri. Che si sono improvvisamente resi conto, grazie ai calcoli dei loro tecnici, che il limite fissato inizialmente al 10% per contenere la spesa dei singoli dicasteri era nel frattempo lievitato al 14%. E «hanno cominciato - racconta una dirigente parlamentare dell’Ulivo - a farsi vivi uno dietro l’altro, man mano che scoprivano la nuova sorpresa» firmata da Padoa-Schioppa. D’Alema si è preso la briga di porre la questione direttamente, in una serie di colloqui con Visco, Chiti e il capogruppo dell’Ulivo Dario Franceschini. Lamentandosi, raccontano fonti di maggioranza per una Finanziaria «troppo ballerina», ancora sconosciuta nella sua stesura e ratio definitiva, sottoposta a strappi contrapposti e veti incrociati dall’interno e dall’esterno dell’Unione. «Non c’è dubbio che il taglio di 4 miliardi ai ministeri sia pesante - replica piccato Gennaro Migliore, capogruppo di Rifondazione - ma dentro la maggioranza, sia pur in un casino generale, si sta facendo una discussione seria e costruttiva, e spero che nessuno voglia impedire al Parlamento di avanzare le proprie proposte».
La protesta di D’Alema mette in imbarazzo i ds, che si ritrovano, ammettono fonti governative della Quercia, «in un conflitto di interessi» tra le richieste dei loro vari ministri. Già, perché l’innalzamento dei tagli spalmato su tutti i dicasteri è dovuto anche alle pressioni fatte dal partito di Fassino e D’Alema sul governo per recuperare fondi innanzitutto al ministero dell’Università e della ricerca guidato da Fabio Mussi, che ha minacciato di dimettersi se la Finanziaria non cambia rotta sul suo budget. Nonché dall’esclusione dai tagli del fondo per la Protezione civile e quello per l’Editoria, che dipendono da Palazzo Chigi e dunque da Prodi, e da quello per le aree svantaggiate che fa capo al ministero delle Attività produttive di Pierluigi Bersani. Fatto sta che la protesta dei ministri ha costretto il Tesoro a riaprire l’ennesimo capitolo, anche perché i capigruppo di maggioranza hanno rimandato la palla al governo: «Se ne occupi Palazzo Chigi, non possono essere i gruppi parlamentari a risolvere il problema». «Si è convenuto di riconsiderare l’innalzamento del limite di contenimento delle spese, cercando altre coperture - spiegava a sera il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Giampaolo D’Andrea, Dl - abbiamo già cominciato a farlo per il capitolo Università e per quello dell’Editoria». Il problema è che con la continua necessità di ritoccare le coperture la manovra si sta impantanando: ieri sera la commissione Bilancio aveva di nuovo sospeso il giudizio sull’ammissibilità dell’emendamento presentato in mattinata dal governo per riformulare l’articolo 3, quello sull’Irpef. Dalla Farnesina si fa trapelare che il vicepremier «segue da vicino» la vicenda tagli e «apprezza lo sforzo» che sta facendo il ministero dell’Economia che, «dopo le osservazioni arrivate da più parti sta lavorando ad una modulazione più ragionevole dei tagli». Fassino però avverte: «I ministri soffrono, ma sanno per primi che i tagli sono necessari».
Nel frattempo, nel vertice di maggioranza era scoppiata una nuova bagarre: con l’Ulivo che chiede più fondi per Mussi e Fioroni (Scuola), i Verdi per il trasporto pubblico, l’Udeur per i magistrati, il Prc per le spese sociali, il Pdci che chiede l’abolizione dei ticket.

Visco si è spazientito «Signori, ora basta: se volte aumentare le spese dovete spiegarmi come coprirle con i tagli, perché non ci possiamo permettere altre tasse». Tutto rinviato ad un nuovo vertice, stamattina si ricomincia.

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