Daniele Colombo
da Milano
«Esce una nuova storia della letteratura con giudizi controcorrente e molte esclusioni clamorose», aveva scritto Antonio Debenedetti sul Corriere della Sera del 9 gennaio recensendo il volume conclusivo della serie Storia e testi della letteratura italiana di Giulio Ferroni (XI. Verso una civiltà planetaria, 1968-2005, pag 653, 17.20 euro), titolare della cattedra di Letteratura italiana II all'università «La Sapienza» di Roma.
Che il citato volume sia per certi versi sorprendente non c'è dubbio. A detta del critico nel nuovo volume cala il silenzio su Alessandro Piperno, caso letterario dell'anno, viene invece promosso lo spigoloso Antonio Scurati; pollice verso invece per Alessandro Baricco e Susanna Tamaro, mentre spunterebbero rose e fiori per i romanzi di Elsa Morante. Su questo non c'è molto da obiettare: il curatore è come il ct, la squadra la fa lui.
Quello che Debenedetti non spiega sono alcuni giudizi, ispirati a una «onestà faziosa» di un'opera che «chiama in causa la politica, il nuovo disordine mondiale» e che esulano dal contesto letterario.
Vi raccontiamo alcune chicche della nuova edizione (il «marzo 2005» stampato sul volume che siamo riusciti a procurarci - ci assicurano dalla casa editrice - è un refuso). Scorrendo l'indice, compare a sorpresa il nome di Silvio Berlusconi. Diavolo di un «Berlusca». Forse che qualche duetto canoro carico di napoletanità con il buon Apicella abbia lasciato il segno, visto che una citazione l'ha meritata anche il buon Claudio Baglioni (!)? L'arcano è presto svelato. La presenza del premier è «limitata» alla trattazione storica. Lo spunto è la condanna al neoliberalismo inteso come «esaltazione indiscriminata dell'iniziativa privata», e apportatore di «una cancellazione delle conquiste dello Stato sociale e assistenziale»: «In Italia esso ha assunto caratteri particolarmente aggressivi ed estremi, che hanno avuto rilevanti esiti politici con l'ascesa al potere della destra di Silvio Berlusconi».
Dallo «scatenato liberismo intollerante di tutte le regole e i controlli statali» responsabile dell'alterazione dell'ambiente e che «pur di favorire presunte iniziative di sviluppo, tollera e favorisce nuovi scempi, e lascia intatti quelli già perpetrati grazie ai condoni», si passa alla tv: «La fine del monopolio televisivo statale ha poi prodotto una moltiplicazione delle trasmissioni e una espansione massiccia e ossessiva dei messaggi pubblicitari: il tutto si è complicato con l'espansione delle reti Mediaset e con l'ascesa al potere del loro proprietario Berlusconi (che ha così modo di controllare anche la Rai)».
E avanti con i colpi indiretti: «La possibilità da parte dei privati di creare reti televisive autonome, sganciate dal diretto controllo statale, è stata sbandierata, nella fase iniziale, come una grande conquista democratica, un nuovo stimolo per la libertà di pensiero e di opinione: ma molto presto le leggi del mercato hanno moltiplicato forme culturali degradate, capaci di attirare in maniera indiscriminata un pubblico più ampio, rivolte a seguire e a sviluppare i gusti più subalterni, a negare ogni possibile espressione di coscienza critica, e hanno poi portato all'attuale concentrazione di poteri».
La convergenza di poteri diventa il «caso italiano», quasi una «anticipazione esemplare della crisi radicale della democrazia»: «La presidenza di Berlusconi rappresenta una sorprendente e anomala novità rispetto alla tradizione politica italiana ed europea, dato che in lui il potere politico viene a convergere direttamente con il potere economico e con il potere della cultura e della comunicazione (pubblicità, televisione, editoria)».
Il campionario è lunghissimo. Da non perdere il giudizio sul Pci, «capace di muoversi in modo autonomo rispetto al comunismo dell'Europa orientale, come forza riformista, moderna e avanzata» e la «nuova coscienza ecologica di cui si sono fatti espressione, nei grandi Paesi industriali, i movimenti politici definiti verdi e in parte i cosiddetti no global».
A questo punto si impone una riflessione: ma che c'azzecca Berlusconi con la storia della letteratura italiana? Nulla. E immaginiamo l'imbarazzo degli studenti che prima di leggere le ardite disquisizioni sulla poesia di Alda Merini o Dario Bellezza si trovano di fronte tutto questo armamentario ideologico.
Sveliamo un particolare, che abbiamo volutamente sottaciuto. La casa editrice di questo provocatorio manuale è la Mondadori Università e dovrebbe prossimamente uscire anche una versione per le superiori con Einaudi Scuola: due case editrici che fanno capo al gruppo Fininvest. Dunque? Altro che controllo mediatico: qui c'è un eccesso di liberalismo del premier, che si spinge a comportamenti voltairiani. Quelli ispirati al celebre motto del filosofo: «Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu possa esprimere la tua idea liberamente».
Lasciamo però che le parole del professor Ferroni spieghino il senso dell'opera: «In un momento in cui la letteratura, nella scuola, nell'università, nella comunicazione pubblica sembra attraversare una crisi pericolosa, che può dar luogo ad esiti assai gravi nella coscienza "civile" delle nuove generazioni, questo manuale vuole essere un invito ad amare la nostra letteratura e il nostro Paese, a sentire il valore irrinunciabile di una tradizione che vorremmo sempre più aperta in un orizzonte europeo e mondiale».
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