Controcultura

"Da Berlusconi alla Meloni vi spiego i segreti di come parlano i leader"

Massimo Arcangeli è linguista, critico letterario, politico e sociologo della comunicazione.

"Da Berlusconi alla Meloni vi spiego i segreti di come parlano i leader"

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Massimo Arcangeli è linguista, critico letterario, politico e sociologo della comunicazione. Tra i suoi molti libri spiccano Il Renziario (2018) e Il Salvinario (2019). In cui ha analizzato le locuzioni e le parole utilizzate dai due Matteo della politica italiana. Ora è arrivato in libreria il suo Melonario (Castelvecchi, pagg. 340, euro 20) in cui prende in esame le modalità comunicative del premier Giorgia Meloni. È quindi la persona giusta con cui parlare per capire come comunica il nostro mondo politico, come utilizza le parole per affrontare gli elettori e i compiti istituzionali.

Professor Arcangeli partiamo dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Quali sono le caratteristiche principali, i punti di forza del suo modo di comunicare?

«Per prima cosa bisogna citare la sua espressività, la sua grande capacità di usare una lingua dinamica, di usare il ritmo in modo sempre adeguato. Intendo le pause, le accelerazioni e le decelerazioni. Soprattutto quando parla a braccio le usa molto bene. In secondo luogo come forza argomentativa non ha eguali nella Seconda repubblica. Qualunque argomento usi lo ha studiato bene, è secchiona. Poi è multitasking, cambia i codici linguistici a seconda del mezzo che sta utilizzando. Li modula sul pubblico. Non è nativa digitale ma ha capito i social. Poi ha una grande capacità di creare neologismi, e questo lo ha in comune con Renzi. Crea parole nuove per dare forza espressiva, il caso più noto è nomadare. E infine direi che è bravissima a mantenere il filo del discorso. Non si perde. Tiene il punto a lungo. E in questo di nuovo non ha eguali nella Seconda repubblica. Può ricordare Almirante in questo, o Craxi e Berlinguer. Ma nella politica di oggi è un caso unico».

E se guardiamo alla sua diretta antagonista Elly Schlein?

«Ovviamente l'ho studiata meno, la sto esaminando negli ultimi tempi. Al momento quello che mi sento di dire è che veicola un certo tipo di radicalismo culturale che è un oggetto di studio interessante. Di certo ti costringe a scrivere tutto quello che dice. Concita De Gregorio ha detto che con lei non si trova il titolo. Io dico che non si trova la sintesi. Alcune sue frasi funzionano anche bene a livello aforistico. Ma l'insieme dei discorsi no. Invece con Renzi, e prima di lui Berlusconi, di un discorso si potevano subito evidenziare i punti significativi». Berlusconi e Renzi da questo punto di vista erano simili? «Berlusconi ha semplificato il linguaggio della politica. Lo ha allontanato da locuzioni come le famose convergenze parallele di Moro. Ha consentito ai cittadini di rispecchiarsi nel politico. In questo Renzi lo ha imitato, aggiungendo un uso dei social in stile Obama. Renzusconi era un gioco di parole ma rendeva l'idea di questa vicinanza, che era anche capacità di parlare al centro del Paese. Renzi è stato addirittura più pop di Berlusconi. Berlusconi invece ha mantenuto il maggior equilibrio tra il linguaggio pop e quello da imprenditore che è capace di maneggiare anche i fondamentali dell'economia. A breve sul linguaggio di Berlusconi pubblicherò un nuovo libro: Ci consenta. Parola di Cavaliere».

Meloni da questo punto di vista?

«Ha cambiato registro da premier. È diventata meno pop e più istituzionale. Anche questo un segno di abilità, vedremo come cambierà il suo linguaggio nel tempo».

E Salvini? Lei ha scritto anche un Salvinario.

«Salvini ha invertito il paradigma della politica. Non voleva che l'elettore si specchiasse in lui. Voleva proprio dire all'elettore io sono come te. Tutta la sua comunicazione era impostata su questo. Per un po' ha funzionato...».

Non abbiamo citato Giuseppe Conte...

«Ho provato a studiarlo ma alla fine che dire, usa un accademiese che però è approssimativo e friabile, non ci scriverei un articolo...».

Al di là dei leader, come comunica la politica?

«Comunica male, Meloni è una fuoriclasse ma in generale il suo partito non è fatto di bravi comunicatori. E sotto i leader che abbiamo nominato c'è spesso il deserto. Servirebbero delle vere e proprie alte scuole di comunicazione politica, non mi stupirebbe se Meloni, che queste cose le capisce, è evidente che coltiva letture e studi che nessuno le attribuirebbe, mettesse in piedi per il suo partito una scuola di comunicazione...».

La sinistra una volta i quadri li formava così...

«Sull'harakiri della sinistra che non guarda al centro e comunica male non c'è molto da dire. Al momento hanno riportato la comunicazione ai collettivi anni '70.

A Nanni Moretti».

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