Italia al neon

Costanzo, De Chiara e Morricone: come nacque “Se telefonando

Le sirene della polizia marsigliese, un’intuizione fortunata, Mina che prende il foglio e inizia subito a intonarla: come fabbricare un successo

Costanzo, De Chiara e Morricone: come nacque “Se telefonando”

Stretti nel clima rarefatto della loro stanzetta, i due confabulano fitto. Quello più paffuto si riavvia l’incerta criniera, fremendo. Sente che sta per avere un’epifania. L’altro soppesa accuratamente la manciata di frasi scribacchiate sul foglio, intonso fino ad un istante prima. Dalla cornetta del telefono accasciata sulla scrivania rimbalzano, lievemente metallici, gli appunti di un terzo convitato.

Su un fatto si trovano tutti d’accordo: Studio Uno è stato un congegno deflagrante. Quei gran geni di Antonello Falqui e Guido Sacerdote hanno messo su un varietà inedito ed effervescente. Dunque, irresistibile. Fare altrettanto per questa costola che sta emettendo i primi vagiti è quantomeno opportuno: Mamma Rai non accetterebbe nulla di diverso. Aria condizionata - perché è questo il titolo del nuovo programma – deve viaggiare subito spedito. E quando cerchi un acceleratore percettivo, dentro la musica puoi scorgere un alleato formidabile.

Il trio si spreme e affastella idee scoppiettanti. C’è una sigla da scrivere e, visto che il microfono lo stringerà ancora una volta Mina, magari circondata dalle fluttanti gemelle Kessler, la banalità è un nemico da contrastare senza quartiere. Fuori esplode il 1966. Al governo c’è la DC, Maurizio Costanzo ha ancora tutti i capelli e Ghigo De Chiara indossa un sorriso sornione, persuaso di essere vicino a districare la matassa. Il primo assist in realtà lo fornisce il tizio dall’altra parte della cornetta, che nel fratempo sobbolle. “Mi viene in mente il suono delle sirene della polizia marsigliese”, l’eccentrica suggestione di Ennio Morricone.

Costanzo
Un giovane Maurizio Costanzo alle prese con una trasmissione radio

A tirarlo in ballo è stato proprio De Chiara. Ci ha lavorato insieme per uno spettacolo teatrale e ne è rimasto sedotto al punto da volerlo coinvolgere anche per la tv. Il clima retrivo degli anni Cinquanta è alle spalle da un pezzo. Ora i varietà devono essere sfrontati e disorientanti: un risultato che raggiungi soltanto se lasci il volante ai creativi. Il secondo colpetto di assestamento lo piazza Costanzo. Sono nel bel mezzo di una telefonata, quindi rinfodera le elucubrazioni galoppanti e attinge dal reale: “E se la parola giusta fosse telefono?”. De Chiara non potrebbe essere più d’accordo. L’arnese sta spopolando in quegli anni.

Adesso tocca avvitare la narrazione intorno a un tema. Al trio viene in mente che potrebbe trattarsi della fine di un amore. Una di quelle così improvvise e contundenti da riempire tutto lo spazio riservato alle parole. È successo così in fretta che nessuno dei due diretti interessati ha il tempo materiale di fornire una spiegazione. Potrebbe farlo lei, telefonando. Il condizionale usato nel testo però è un rampicante che inibisce il movimento e acuisce questa sensazione di incompiutezza. È un amore destinato a rimanere irrisolto e forse, per questo, ancora più sferzante.

Allora è deciso. L’illuminato trio si riunisce per recarsi in via Teulada, dove li attendono la regale Mina ed il suo impresario. Nello studio di registrazione troneggia un monumentale pianoforte a coda. Costanzo, le dita tremolanti, ci appoggia foglio e spartito. Lei lo afferra e inizia a studiarlo per un tempo che pare indefinito. In ossequioso silenzio, il sudore che già si lavora anche i polsini delle camicie, la geniale combriccola ripete interiormente mantrici scongiuri. Poi, d’un tratto, si consuma il pezzo di magia. Senza distogliere lo sguardo dal foglio, Mina inizia a intonare una strofa. Dapprima è un bisbiglio appena accennato. Una fessura che stappa un nuovo inizio. “Lo stupore della notte, spalancata sul mar”. Poi cresce. “Ci sorprese che eravamo, sconosciuti io e te”.

La sua voce è un balsamo che scende su tutte le parti del testo, congiungendole. Il trio dilata le iridi, compiaciuto. La cantante esprime soltanto un appunto: la strofa “Poi nel buio la tua mano d’improvviso sulla mia” potrebbe prestarsi ad ambiguità. I nostri sfregano e sbrogliano il lieve impasse volgendo il testo al plurale.

È fatta. La canzone viene incisa e Mina la presenta nel corso della sedicesima puntata di Studio Uno, il 28 maggio 1966. Diverrà un successo di respiro mondiale. Il brano, particolarmente intricato per via dei molteplici salti di tonalità e per l’estensione vocale pretesa, è in realtà il terreno di caccia d’elezione per la tigre di Cremona. Il trionfo che ne consegue, con decine di migliaia di vinili che fanno le fusa da una parte all’altra dell’oceano, è ruggente.

Riunito in un bugigattolo adiacente alla regia, il trio si distribuisce pacche reciproche.

A volte basta agganciarsi a un’intuizione per flettere il corso della storia.

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