Le mille incredibili sfide di Ambrogio Fogar

Esploratore, navigatore, scrittore e conduttore tv, Fogar si spegneva il 24 agosto del 2005. Dal 1992 viveva paralizzato, attaccato alle macchine, dopo un tragico incidente avvenuto durante un rally in Turkmenistan. Un libro di Lorenzo Grossi ripercorre le sue incredibili sfide

Wikipedia / © Rino Petrosino/General public domain
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Non è stata una vita normale la sua, è stata una lunga avventura. Per certi versi “pazzesca”. Ha fatto il giro del mondo in barca a vela, in solitaria, contro le correnti dominanti, sfidato i ghiacci del Polo Nord, attraversato i deserti. Tutte sfide estreme quelle in cui si è cimentato Ambrogio Fogar. Un incidente tragico avvenuto durante un rally in auto pone fine alle sue scorribande. Siamo nel 1992. Fogar resta paralizzato dalla testa in giù. Respira solo grazie a uno stimolatore elettrico e la sua vita è attaccata alle macchine. È la fine, pensa lui, che non a caso chiede ai familiari di chiuderla lì, di farsi accompagnare all’estero per l’eutanasia. Non esaudiscono questo suo desiderio e, dopo qualche anno, lui gliene sarà grato. Nel giro di poco tempo Fogar troverà nuove sfide da portare avanti, nonostante le sue condizioni di vita. Un esempio per tanti, ancora oggi, a venti anni dalla sua morte, avvenuta il 24 agosto 2005.

Nel libro “Ambrogio Fogar – Le mille straordinarie vite dell’ultimo grande sognatore” (Infinito edizioni, pagg- 218, euro 18) Lorenzo Grossi ci accompagna per mano lungo i 64 anni di vita di questo milanese che è stato tante cose: navigatore, esploratore, scrittore e conduttore televisivo. Ma anche assicuratore. Era proprio vendendo polizze, infatti, che sbarcava il lunario. Ma una vita normale gli stava troppo stretta. Aveva bisogno di stimoli, prove continue con se stesso. Era così fin da quando era bambino, quando a soli 12 anni aveva voluto vivere per tre giorni e tre notti da solo, tra i boschi sopra la casa di famiglia delle vacanze estive, in val d’Ossola. Sfida con se stesso vinta. Come tante altre in seguito. Se c’è un fil rouge che unisce tutte le imprese di Fogar è proprio la voglia di superare le difficoltà mettendosi alla prova. E subendo, ogni tanto, anche pesanti batoste.

Libo su Ambrogio Fogar

Una delle più dure, senza dubbio, è legata al naufragio che porterà alla morte del suo compagno di viaggio, il giornalista Mauro Mancini. Siamo nel 1978. Il 6 gennaio i due salpano da Mar della Plata, in Argentina, diretti in Antartide. Dopo 12 giorni la barca viene colpita da un branco di balene e affonda. Fogar e Mancini si rifugiano su una zattera autogonfiabile e, con solo un po’ di zucchero e della pancetta, riescono ad andare avanti, nutrendosi anche con degli uccelli uccisi alla bisogna. Quando ormai pensano solo alla morte, dopo 74 giorni di galleggiamento in alto mare pesano 40 kg, vengono miracolosamente tratti in salvo da un mercantile greco. Sembra un lieto fine da favola, ma non è così. Il suo amico e compagno di avventura, due giorni dopo il salvataggio muore di polmonite. Un episodio che segnerà per molti anni la vita di Fogar, messo “sotto processo”, moralmente, per quanto avvenuto

Non stiamo qui a ripercorrere tutte le avventure di Fogar, alcune delle quali conosciutissime, per aver ricevuto una notevole copertura mediatica. Fra queste senza dubbio c’è la sfida per arrivare al Polo Nord a piedi, con la slitta e il cane Armaduk, un husky siberiano. L’avventura dura 51 giorni ma tecnicamente non va a buon fine: a un certo punto Fogar è costretto a salire su un aereo, perché si rende conto che, a causa della rottura di alcuni enormi blocchi di ghiaccio, non sarebbe mai riuscito a concludere l'impresa. Seguono, ovviamente, altre polemiche. Qualcuno lo accusa di aver barato, lui si difende.

Negli ultimi anni prima del tragico incidente in Turkmenistan, Fogar diventa un apprezzatissimo divulgatore e conduttore tv. “Jonathan – Dimensione avventura” (su Canale 5) e “Campo base” (Canale 5 e Tele +) sono solo alcuni dei programmi a cui si dedica, molto apprezzati dal pubblico e dalla critica. Fogar non inventa nulla, è se stesso: parla di viaggi, avventure e sfide in tutto il mondo.

Concludiamo citando le parole dell'autore, che spiega perché abbia deciso di scrivere questo libro.

“Tu sai chi è stato Ambrogio Fogar, vero?” Credo che questa domanda, posta da me nel corso degli ultimi anni a colleghi e amici coetanei, sia stata quella che – tra gli interrogativi di carattere nozionistico – abbia regolarmente messo più in seria difficoltà tutti i vari interlocutori. Le reazioni sono state, infatti, sempre uguali: lunghi silenzi, sguardi pensierosi che fissavano nel vuoto, fronti corrugate, tentativi di abbozzare qualche timida replica, classica e “disperata” frase riparatoria: “Ho già sentito questo nome…”, poi più niente… Facevo estremamente fatica a sopportare l’idea che si fosse creato un vuoto di memoria tra due generazioni e che, quindi, a coloro che hanno meno di quarant’anni il suo nome non dicesse proprio niente. E io stesso sarei potuto cadere in questa lacuna storica se non mi fosse venuto in soccorso un episodio specifico che è capitato durante la mia infanzia.

Le mie due sorelle, infatti, facevano parte della redazione de L’Aeroplanino di Carta, il giornalino trimestrale della loro scuola, che tra tanti personaggi andò a intervistare anche Fogar, che già da sei anni era paralizzato...

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