Solo pochi giorni fa la dinastia reale thailandese Chakri informava il mondo della morte di Sirikit (1932-2025), la sua Regina Madre più amata e più longeva, moglie del defunto Re Rama IX (Bhumibol Adulyadej, 1927-2016) e madre di Rama X, che siede sul trono dal 2016. I media hanno raccontato la vita e il glamour di questa coppia, soffermandosi sulle opere caritatevoli e sullo stile inimitabile della sovrana. Non tutti sanno, però, che il regno di Rama IX e di Sirikit iniziò con un mistero, un vero e proprio giallo: la strana morte del predecessore Rama VIII (1925-1946, ovvero Ananda Mahidol), fratello maggiore di Bhumibol Adulyadej. Per alcuni si trattò di suicidio, per altri di un omicidio. In ogni caso questa tragica scomparsa segnò per sempre l’esistenza del casato, cambiando le sorti del regno di Thailandia.
Vita di un principe
Ananda Mahidol, futuro Re Rama VIII nacque in Germania e trascorse buona parte della sua giovinezza tra Parigi, Losanna e gli Stati Uniti, prima di tornare nell’allora Siam nel 1928. Poiché il sovrano dell’epoca, Rama VII, non aveva avuto figli, nel 1929 venne nominato erede al trono Mahidol Adulyadej, padre di Ananda. Purtroppo, però, Mahidol Adulyadej morì poco tempo dopo, il 24 settembre 1929. Così la carica passò al figlio.
Nel 1932 scoppiò la Rivoluzione siamese e Rama VII dovette concedere al popolo la Costituzione, sancendo di fatto la fine della monarchia assoluta nel Paese asiatico. L’anno successivo il giovanissimo principe Ananda tornò con la madre in Svizzera, lontano dal caos e dalle minacce dell’insurrezione.
Il 2 marzo 1935 Re Rama VII, logorato dalle pressioni politiche conseguenti alla rivolta, abdicò in favore di Ananda Mahidol. Il nuovo sovrano non era che un bambino e viveva all’estero, dove rimase durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale. Per questo l’amministrazione del regno passò nelle mani di due reggenti. Fatta eccezione per una breve visita nel 1938 Re Ananda, anzi, Rama VIII, tornò nel suo Paese solo nel 1945.
Nonostante la lontananza il popolo non aveva dimenticato il suo sovrano. Dal canto suo Rama VIII riuscì a farsi amare fin da subito, dimostrando un carattere mite e apparentemente tranquillo. I thailandesi si aspettavano grandi cose da lui. Purtroppo il giovane non ebbe il tempo di attuare i suoi programmi, di imprimere un’impronta indelebile sulla Storia del Paese e nemmeno di essere incoronato con una cerimonia tradizionale. Il destino scelse una strada diversa, tanto drammatica quanto incredibile.
Il 9 giugno 1946, riporta il Daily Telegraph, Re Rama VIII venne trovato morto nella sua stanza, all’interno del Grande Palazzo Reale di Bangkok. Il decesso era avvenuto a seguito di un colpo di pistola alla testa.
Omicidio o suicidio?
Stando alla ricostruzione fatta dal patologo del British Home Office, Keith Simpson, a cui venne chiesto un parere sul caso, la sera dell’8 giugno 1946 Ananda sarebbe andato a dormire verso le ventidue, lamentando un disturbo intestinale. Avrebbe infilato una maglietta, dei pantaloni di seta cinese blu e si sarebbe messo a letto.
Sarebbe stato svegliato dalla madre verso le sei. Non avrebbe consumato la colazione che gli era stata preparata, ma sarebbe tornato a dormire. Circostanza, quest’ultima, confermata dal fratello minore del Re, Bhumibol Adulyadej. Quest’ultimo, infatti, si sarebbe recato nella camera di Ananda per accertarsi delle sue condizioni di salute, ma lo avrebbe trovato addormentato. Verso le nove e venti circa i servitori avrebbero sentito lo sparo. Uno di loro, di nome Chit, si sarebbe precipitato nell’appartamento reale, trovando Ananda Mahidol senza vita. Subito dopo sarebbe uscito gridando: “Il Re si è sparato”.
Dettaglio fondamentale: a vegliare sul sonno del monarca, durante tutta la notte, sarebbero rimasti quattro uomini della sicurezza e un ispettore della guardia. La polizia non avrebbe scattato fotografie di quella scena straziante, dunque manca un elemento importante che avrebbe potuto aiutare gli investigatori nelle indagini. Tuttavia, grazie alle descrizioni ottenute da Simpson, sappiamo che il corpo di Ananda giaceva sul letto circondato da una zanzariera. Era coperto, eccezion fatta per le braccia, distese parallele al cadavere. Sopra l’occhio sinistro c’era un foro di proiettile.
La scena di questa morte, però, sarebbe stata contaminata: la prima a entrare nella stanza sarebbe stata la madre del Re. Subito dopo l’avrebbe raggiunta la tata, la quale avrebbe commesso un errore madornale. Dopo aver tastato il polso di Ananda, la donna avrebbe preso la Colt calibro 45 che si trovava accanto al Re e l’avrebbe spostata su un comodino. Poi sarebbe entrato il principe Bhumibol, che avrebbe nascosto la pistola in un cassetto “per sicurezza”. In questo modo sull’arma vennero impresse le impronte della tata e di Bhumibol, rendendo più complicate le indagini.
No basta: al loro arrivo i poliziotti avrebbero trovato la stanza “ripulita”. Ciò farebbe presupporre che i servitori, probabilmente su ordine della famiglia, avrebbero sistemato il letto e gli oggetti intorno, vanificando qualunque tentativo di capire cosa fosse davvero successo quel mattino. Impossibile dire se tale decisione sia stata frutto di inconsapevolezza o se qualcuno stesse cercando di nascondere delle prove. In più al Capo della polizia non sarebbe stato permesso di esaminare il cadavere. In Thailandia, infatti, i sovrani sono trattati alla stregua di semidivinità, intoccabili per definizione. Sembra, però, che il funzionario abbia preso la pistola tra le mani, aggiungendovi pure le sue impronte.
Qual è il movente?
Ci sono molte cose che non tornano nella morte di Rama VIII. Sempre secondo la ricostruzione di Keith Simpson il Re non avrebbe lasciato nessun biglietto che potesse spiegare un ipotetico suicidio. La famiglia reale, poi, sostiene che fosse in salute, che non vi presentasse alcun segno di depressione e non avesse mai manifestato l’idea di farla finita.
C’è di più: durante l’inchiesta del 1946 venne proposta la supposizione secondo la quale Ananda si sarebbe ucciso per errore, mentre puliva la pistola. Una circostanza poco credibile, per tre motivi: il sovrano sarebbe stato un esperto di armi. Simpson, inoltre, fece notare anche che il giovane sarebbe stato molto miope, quindi non avrebbe mai pulito, né ispezionato l’arma senza indossare i suoi occhiali. Questi, però, sarebbero stati ritrovati sul tavolino della camera, lontano dal letto. Infine, a rendere l’ipotesi ancora più remota, ci sarebbe la posizione del cadavere.
Non dimentichiamo che Rama venne ritrovato supino, con il corpo coperto tranne le braccia: una postura un po’ strana per esaminare un’arma. A questo proposito il patologo segnalò un altro motivo di perplessità: secondo la sua esperienza, infatti, di solito chi vuole uccidersi con un’arma da fuoco sta in piedi, oppure è seduto. Questa potrebbe essere la norma, ma non è escluso che il caso della morte del sovrano thailandese sia stato l’eccezione. La posizione in cui venne trovato Ananda non è incompatibile con l’ipotesi del suicidio.
C’è, però, un altro problema per nulla trascurabile: la pistola sarebbe stata trovata sul fianco sinistro del cadavere, ma il Re sarebbe stato destrimano. Persino la traiettoria del proiettile sarebbe stata bizzarra perché, evidenziò il patologo, non avrebbe mirato verso l’interno, verso “la parte centrale” della testa.
Secondo Simpson Re Rama VIII potrebbe essere stato ucciso. Nessuno sa, però, quale sarebbe stato il movente. Per la verità l’inchiesta del 1946 non riuscì a ricostruire la dinamica esatta della morte, né dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, se si trattò di omicidio, suicidio o incidente.
Una congiura?
Nel regno cominciarono a circolare delle voci secondo cui il sovrano sarebbe stato vittima di un complotto ordito dal primo ministro Pridi Banomyong. Non vennero mai trovate prove in tal senso, ma queste indiscrezioni finirono per minare la popolarità del premier e indebolire il suo governo. Di questa difficile situazione politica, dominata dal caos e dall’incertezza sulle cause della morte di Rama VIII, approfittò il generale Plaek Phibunsongkhram (conosciuto anche come Phibun), già protagonista della Rivoluzione siamese del 1932 e primo ministro dal 1938 al 1944. Nel 1947 il militare riuscì a imporsi di nuovo sulla scena politica attraverso un colpo di Stato.
Il nuovo primo ministro Phibun riaprì il caso della morte di Rama VIII, convinto che la vera causa fosse una congiura di Palazzo: fece arrestare il segretario personale del Re, un senatore e i due servitori che avevano visto Ananda poche ore prima della morte (tra questi anche Chit, il paggio che aveva scoperto il cadavere), istituendo un processo che durò fino al 1951.
Il procedimento giudiziario non portò a nulla. Nessuno riuscì a provare in maniera inconfutabile la colpevolezza degli imputati. Anzi, in qualche modo la ricostruzione degli eventi fatta in tribunale avrebbe contribuito a rendere il mistero ancora più confuso e contraddittorio. Venne stabilito che Re Ananda sarebbe stato assassinato, ma i giudici non furono in grado di individuare con certezza né i responsabili, né il movente del presunto omicidio. Si limitarono a ritenere che Chit dovesse far parte di un complotto ai danni del sovrano, ma non specificarono né l’origine, né gli obiettivi di questo piano segreto.
Come spiega il Daily Telegraph nel 1954, nonostante le conclusioni piuttosto “fumose” del processo, il generale Phao, Capo della polizia thailandese, avrebbe esercitato delle pressioni affinché la Corte Suprema giudicasse colpevoli e condannasse a morte i servitori e il senatore. Nel 1955 i tre vennero giustiziati.
Le incertezze di Rama IX
Il corpo di Re Ananda venne cremato secondo la tradizione thailandese solo il 29 marzo 1950, ricorda il New York Times. Ben quattro anni dopo la sua morte. Durante un’intervista alla Bbc per il documentario “Soul of a Nation” (1980) Bhumibol Adulyadej, nuovo sovrano con il nome di Rama IX, chiarì di non essere affatto convinto dell’esito del processo.
La morte di Rama VIII rimane un enigma irrisolto, al pari di altri misteri con cui ha qualche piccola analogia, come la morte del duca di Kent Giorgio, zio paterno della
regina Elisabetta, deceduto nel 1942 durante un volo verso l’Islanda e il caso di Mayerling, ovvero la scomparsa dell’arciduca Rodolfo d’Asburgo-Lorena e della sua amante, la baronessa Maria Vetsera, nel 1889.