nostro inviato a Perugia
C’è una stessa impronta genetica sui reperti biologici recuperati sul corpo senza vita di Meredith Kercher e nelle feci ritrovate nel bagno della casa del delitto. Ma non è di nessuno dei tre indagati ora dietro le sbarre. Con Mez, la sera del primo novembre, c’era qualcuno ancora estraneo agli atti dell’inchiesta: forse è lui l’assassino. Un misterioso «quarto uomo» finora rimasto nell’ombra che presto potrebbe essere scoperto.
In queste ore squadra mobile di Perugia e Sco lo incalzano seguendo le sue tracce. Partendo da quelle lasciate nella casa di via della Pergola, analizzate dalla scientifica. Sul cadavere della ragazza sono stati recuperati diversi «elementi biologici» e reperti da esaminare: «formazioni filiformi» sui genitali, capelli sporchi di sangue tra le dita delle mani di Mez, su quella sinistra in particolare, e altro materiale sotto le sue unghie.
I test nel laboratorio di biologia della scientifica hanno individuato un Dna che non apparteneva alla vittima, ma nemmeno a Raffaele Sollecito, ad Amanda Knox o a Patrick Diya Lumumba. Scoprendo che l’anonimo codice genetico corrispondeva a quello ricavato dalle feci nel bagno. Forse anche le impronte incomplete lasciate sul cuscino insanguinato su cui era poggiato il corpo della ragazza potrebbero appartenere a questo fantasma ancora senza un nome.
Chiarire l’identità del «quarto uomo» diventa la priorità per l’inchiesta, dopo che due giorni fa era arrivata una prima svolta, con il ritrovamento dei Dna della vittima e di Amanda su un coltello da cucina ritrovato a casa di Raffaele Sollecito. E la nuova presenza sulla scena del crimine moltiplica anche le domande. Se, come sospetta la procura, Amanda e Raffaele hanno «pulito» da tracce e impronte la casa di via della Pergola, da soli o con l’aiuto di altri, è strano che non abbiano azionato lo scarico del wc prima di rientrare nell’appartamento del barese. E lì completare i «lavaggi» alla candeggina di scarpe e indumenti, oltre che di quel coltello, rimesso nel cassetto come se niente fosse.
Così, mentre gli uomini della questura perugina proseguono la caccia del «quarto uomo», cominciando dall’elenco dei tanti amici di Amanda che frequentavano il casolare, ieri il pubblico ministero Giuliano Mignini ha ordinato una nuova visita «mirata» nella casa di Sollecito, in corso Garibaldi, per ricostruire le fasi successive al delitto e la possibile premeditazione dell’omicidio.
Sono stati sequestrati dall’appartamento il cassetto con le posate dove era stata ritrovata quella che per gli inquirenti è l’arma del delitto, lo scarico della doccia e il materiale organico (peli e capelli) lì rinvenuto, il filtro della lavatrice, saponi, due bottiglie di candeggina, shopper in plastica e scontrini. Questi ultimi dovrebbero dire dove e quando Raffaele o Amanda hanno acquistato la candeggina usata per cancellare le tracce di sangue dal coltello.
Gli investigatori si sono portati via anche l’inventario della casa, compilato dal proprietario, per accertare se il coltello faceva parte della dotazione domestica. Se l’arma ha fatto un viaggio di andata e ritorno tra casa di Sollecito e quella di Amanda e Mez, l’aggressione alla studentessa sarebbe premeditata.
Intanto i difensori dei tre indagati, dopo aver presentato istanza di scarcerazione al tribunale del Riesame per i propri assistiti, non cambiano linea difensiva. Quella dell’avvocato di Amanda Knox, Luciano Ghirga, resta di prudente silenzio. I legali di Sollecito ricordano come proprio la ragazza americana avesse «libero accesso» alla casa del barese e aspettano l’esito dell’esame del computer di Raffaele, che potrebbe confermare l’alibi del ragazzo: aver passato la sera di fronte al monitor.
Quanto a Lumumba, in procura si sta valutando una sua prossima scarcerazione. Mentre un quarto protagonista entra in scena, il congolese accusato da Amanda potrebbe presto uscire dall’inchiesta.
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