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Petacchi batte gli assenti e i veleni di Cipollini

Lo sprinter beffa i superstiti dello Stelvio e zittisce le continue critiche di Re Leone. Basso continua a tutti i costi: «Voglio piegare il virus e prendermi qualche soddisfazione»

Cristiano Gatti

nostro inviato a Lissone

Non ci sono più le mezze stagioni. Non ci sono più neppure la tappe di traferimento. Persino il tranquillo relax da Livigno a Lissone, una delle poche frazioni per velocisti di questo Giro al massacro, causa maltempo si trasforma in un supplemento di pena (vai a sapere se almeno oggi, giornata di riposo, il riposo sarà riposo). Acqua e freddo dall'inizio alla fine. Tanto che lo stesso inizio, dopo una supplica dei corridori, viene spostato cinquanta chilometri sotto Livigno, per risparmiare ai superstiti dello Stelvio i rischi della neve in quota.
Alla fine della navigazione, vince nel modo più scontato il favorito più scontato: ancora lui, sempre lui, Alessandro Petacchi. Tre i suoi successi in questo Giro: altri due e tocca quota cento vittorie in carriera. A Lissone il suo lavoro è di una facilità disarmante: in sostanza, regola un circolino di sopravvissuti. Si dice in Giro: non ha più rivali. Ma il rilievo ha il vago sapore della carognata. Se proprio vogliamo dirla tutta, non è lui a doversi imbarazzare, ma eventualmente quelli che ai piedi delle montagne sono tornati a casa. McEwen, Kirsipuu, O'Grady, Cooke. Guarda caso, il vecchio Zabel è ancora al suo posto: nobile secondo. Altro che storie: non c'è niente di più ingiusto, nei confronti di chi compie fino in fondo il proprio dovere, sfregiare i suoi successi rievocando gli assenti. Mai come negli sprint di questo Giro durissimo, gli assenti hanno torto. Cipollini compreso, che dal pulpito continua a beccare Petacchi e il suo treno: «Le sue critiche sono ingiuste», gli risponde seccamente il suo successore.
E adesso, tutti quanti a tirare il fiato. Ventiquattr'ore per rimettere assieme i pezzi e ripartire per il finalone piemontese. Dopo tre giorni di terrificante convalescenza, nei luoghi e nelle atmosfere meno indicati per un malato, finalmente Ivan Basso potrà curarsi davvero. Più che altro riposare, guadagnare tempo, ritrovare un'efficienza. Così, almeno, spera. Cocciutamente, il piccolo Indurain non ha la minima intenzione di mollare: vuole bersi l'amaro calice fino in fondo. Soltanto quest'oggi, davanti ai risultati delle analisi, oppure domani, a Varazze, dopo un'altra tappa di prova finita male, deciderebbe per il ritiro. Ma l'intenzione è di segno nettamente contrario: «Il mio tecnico Riis vuole che mi fermi. Lo fa per il mio bene. E credo che in fondo sia la scelta più logica. Ma qualcosa mi dice che sia meglio continuare: il dolore per questo Giro è troppo grande, per pensare di andarmene così. Ho perso tutto in un giorno, la vita riserva di queste esperienze. Ma voglio chiudere in un altro modo, prendendomi almeno una soddisfazione...».
Sul giallo del suo avversario imbattibile, questo qualcosa che l'ha stroncato quand'era in maglia rosa, il ragazzo ha una sua idea: «Ha tutta l'aria di un virus. C'è chi racconta che avrei mangiato una frittata assassina: lasciamo perdere. Mi alimento in bianco da un mese, non sono così stupido da rovinare un Giro per la frittata...».
Peccato, comunque un gran peccato. Prima Cunego, poi Basso: il bellissimo Giro dei giovani s'è improvvisamente girato nel sommesso Giro dei rimpianti. Che cosa sarebbe, questa terza settimana, con il Basso di Firenze o di Zoldo Alto? Meglio abbandonare subito il campo dei ma e dei se: per non soffrirci ancora, ma anche per rispetto a chi tiene. I Savoldelli, i Simoni, soprattutto il terzo giovane rampollo della famiglia rosa, questo Di Luca delle sorprese continue. «Siamo tutti alla pari», dice un onesto Savoldelli.

È la pura verità: i due in grado di fare dispari ce li siamo già giocati nel modo più triste.

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