«È come un brodino, ma meglio di niente». Il giorno dopo Alessandro Petacchi torna a sorridere e a vincere: un circuito. «È già qualcosa», dice lui con quella sua gnagnera ligure tra lautolesionista e lironico.
Il brutto ricordo della Sanremo è appunto un brutto ricordo. Meglio pensare ad altro. Meglio guardare avanti. Così ieri il grande deluso Petacchi è tornato subito a pedalare, a Aix en Provence, a nord di Marsiglia, in un circuito ad invito da lui vinto.
«È stato un buon allenamento, niente di più. Serve per recuperare un po di energie e gettare fuori un po di tossine negative. Alla Sanremo? Non ci ho pensato davvero molto. Cè poco da pensare e da dire: mi è mancata solo la volata finale, purtroppo io sono un velocista e per un velocista la volata è tutto. Ma non ho nulla da rimproverarmi. Dopo un incidente grave come quello che ho dovuto subire io è già tanto che sia tornato a correre. Adesso devo solo andare avanti a testa bassa, cercando di raccogliere il più possibile».
Il giorno dopo ha visto i giornali?
«Qualcosa, una sbirciatina qua e là, qualche commento letto e sentito. Mi sta bene tutto, ma non che Zabel non sia adatto a tirare le volate. Erik, come del resto tutta la squadra, è stato fantastico. Purtroppo per i ragazzi e per me, non sono riuscito a tradurre in energia quello che avevo in testa. Non ho replicato in rete un gol che sembrava già fatto. È come se avessi sbagliato a porta vuota».
Oggi pomeriggio sarà a Riccione, per i preliminari della Coppi&Bartali, che partirà domani (due semitappe: in linea al mattino, cronosquadre al pomeriggio) per terminare sabato. «Spero di raccogliere qualcosa di buono, serve al morale, serve alla squadra, serve a tutti. A proposito: Freire è stato bravissimo, mostruoso, se non mi avesse passato a doppia velocità io non mi sarei certamente riseduto e me la sarei giocata fino in fondo con Boonen, Davis, Mc Ewen e OGrady. Che cosa mi ha fatto più piacere? Ricevere il conforto dei miei avversari. Battuto, ma stimato».
Onore al merito, anche se il re del velocismo mondiale non ha deciso di abdicare, non ci pensa assolutamente.
Uno che pensa invece da re, e sogna un regno ampio e spendente, è un ragazzetto che è già ricco di buoni propositi e non a caso di cognome fa Riccò. Ragazzo prodigio del ciclismo italiano, 23 anni, modenese di Formigine, la sfrontatezza di un giovane che farà strada e non nasconde a nessuno le proprie ambizioni.
«Perché dovrei?...», dice lui a testa alta.
E oggi, assieme a Petacchi, al campione del mondo Bettini e a Danilo Di Luca, alla Coppi&Bartali si presenterà anche lui.
Alla Tirreno-Adriatico si è vinto due tappe, poi ha dato appuntamento a tutti sul Poggio: «Lì farò vedere di che pasta sono fatto. Ci vuole un po di coraggio e un po di fantasia».
Di coraggio per dire certe cose ce ne vuole sicuramente, soprattutto se sei un pupo. In gruppo non lhanno presa benissimo, per la serie: «Ma chi è questo qui?...». Sul Poggio Riccò il numero lha fatto vedere, la legge del gruppo ha prevalso: «Guai a chi lo fa arrivare al traguardo», si sono detti i senatori. In soldoni, gli hanno corso contro.
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