Peter Van Wood, il chitarrista che sapeva leggere le stelle

Infine si è goduto una vita ricchissima, piena di arte e fantasia come gli piaceva, e pazienza se ieri se ne è andato all’alba, quasi inconsapevole e fiaccato dalla vecchiezza. Molti se lo ricordano solo come astrologo funambolo. I più anziani - o i più appassionati - sanno che suonava la chitarra elettrica da maestro e negli anni Cinquanta cantò anche canzoni da classifica. Peter Van Wood è morto al Policlinico Gemelli di Roma a 83 anni dopo averne trascorsi sessantuno in Italia da olandese volante, lui nato all’Aja e poi innamorato di Napoli perché gli opposti si attraggono sempre, specie quando sono così distanti. Ci arrivò, nella Napoli del dopoguerra, che era già un pioniere chitarrista, uno dei primi in Europa a utilizzare la chitarra elettrica e tutta quell’effettistica, come echi e riverberi, che avrebbe poi aiutato a svezzare il rock’n’roll, e difatti lui l’aveva sfruttata anche in luoghi allora d’avanguardia come l’Olympia di Parigi o il Palladium di Londra o la Carnegie Hall di New York. A Napoli fece quello che voleva: suonare. Perciò una sera Renato Carosone rimase fulminato e lo invitò a suonare con lui e il grandioso Gegè Di Giacomo, uno dei batteristi fondamentali nella storia della musica leggera italiana. Qualche anno dopo Peter Van Wood fece successo da solo con Butta la chiave (con quel duetto tra la sua voce e la chitarra), Via Montenapoleone, Tre numeri al lotto, Carolina e Capriccio. Poi l’astrologia, quella che lui chiamava «la stupenda scienza delle stelle». Scrisse libri e oroscopi, l’ultimo prevedeva per il 2010 disastri naturali e, per l’Italia, un anno sensazionale. Passava in tv e metteva allegria, tanto riusciva a contagiare con il suo entusiasmo. Per ultimo, Fabio Fazio riuscì a dedicargli una squadra di calcio, la giocosa Atletico Van Goof, al culmine nel 1993 di una serie di apparizioni a Quelli che il calcio. In fondo, lui nel 1982 aveva inciso la sigla della Domenica Sportiva e alla musica era rimasto legato fino all’ultimo, anche rabbiosamente come quando, due anni fa, aveva chiesto un milione di euro ai Coldplay per il presunto plagio in Clocks della sua Caviar and champagne. Finisce, con lui, un altro capitolo di quell’Italia che riusciva a non prendersi troppo sul serio pur essendo decisamente seria.

Peter Van Wood è stato un musicista coraggioso, capace di mescolare la nascente lezione chitarristica con la melodia prêt-à-porter. E poi di scrivere libri di astrologia che tanti altri hanno copiato senza che lui, autentico signore d’altri tempi, abbozzasse niente più che un sorrisino distaccato quasi a dire: contenti voi.

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