Petrali: "Presi la pistola dopo 3 rapine"

Parla, dopo l’assoluzione dall’accusa di omicidio volontario, Giovanni Petrali. Il tabaccaio di piazzale Baracca - protagonista della sparatoria che nel maggio 2003 costò la vita a un rapinatore e un polmone traforato all’altro - aveva assistito in silenzio alle udienze dell'interminabile processo a suo carico. Aveva ascoltato in silenzio la pubblica accusa, rappresentata dal pm Laura Barbaini, chiedere nove anni e mezzo di carcere. Ma ieri - quando per lui arriva una condanna così mite da assomigliare a un’assoluzione, un anno con la condizionale per eccesso colposo di legittima difesa - Petrali decide di parlare. Ma non grida vittoria, non rivendica di avere fatto la scelta giusta quando aprì il fuoco. «Usare le armi - dice - è sempre sbagliato».
«Vedete - dice ai cronisti che lo assediano - io sono sempre stato contrario a difendermi con le armi. Ma dopo tre rapine...». Fa un gesto, come per dire che quella di chiedere alla questura il permesso di tenere una pistola in negozio fu una scelta obbligata. «Ma quello che è successo dopo è la conferma di quello che ho sempre pensato. Le armi bisogna lasciarle stare dove stanno». E il presidente nazionale della federazione tabaccai, Giovani Risso, è sulla stessa lunghezza d’onda: «Invito tutti i tabaccai a non armarsi ma a usare i mezzi della legalità».
La sentenza, d’altronde, non dice che usare le armi è legittimo, che è lecito difendere la proprietà privata a costo della vita altrui. Dice solo - e lo spiega con la consueta gentilezza il presidente della Corte, Luigi Cerqua - che in quel momento Petrali aveva la convinzione di essere in pericolo, era convinto di sparare per salvarsi. Per questo suo errore va condannato a un anno di carcere. Se avesse sparato un colpo solo, forse l’avrebbero addirittura assolto. Ma la sequenza di proiettili partiti dalla sua pistola - fino a svuotare il caricatore, e andati in buona parte a segno - è, per la Corte, una colpa imperdonabile. Considerata la provocazione (il colpo ricevuto in faccia da un rapinatore) e concesse le attenuanti generiche, la pena è di un anno di carcere, più otto mesi per porto d’armi.
Anche se dice di considerarsi del tutto innocente («mi aspettavo una sentenza migliore») basta guardare in faccia Petrali per capire che considera questa condanna una vittoria: tutt’altro che scontata, soprattutto dopo la dura requisitoria del pm Barbaini. Ma il capogruppo leghista a Palazzo Marino, Matteo Salvini, in aula per tutta l’udienza, si ritiene comunque insoddisfatto: «È un'ingiustizia, Petrali meritava un’assoluzione piena, chiederò al sindaco che il Comune si faccia carico delle sue spese legali». Insoddisfazione non condivisa però dal vicesindaco Riccardo De Corato, secondo cui la sentenza ha «inquadrato bene la vicenda, quella di un uomo anziano già vittima diverse volte di rapina, e ha valutato con misura le circostanze in cui ha dovuto agire».
In aula, ieri, c’erano anche le parti civili. Cioè il fratello e gli avvocati del rapinatore sopravvissuto, Andrea Solaro, e i difensori degli eredi di Alfredo Merlino, il rapinatore ucciso da uno dei colpi di Petrali. Storie diverse. Merlino era quasi un professionista della rapina, un pregiudicato collerico e violento. Invece Solaro era alle prime armi, e dopo avere scontato la condanna per l’assalto alla tabaccheria si sta rifacendo una vita.

«L’importante è che ci sia stata la condanna anche se avrei preferito per omicidio volontario e tentato omicidio», dice Stefano Solaro, il fratello di Andrea. Mentre l’avvocato della sorella di Merlino dice: «La sentenza mi lascia perplesso, perché la verità emersa nel processo è un’altra».

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