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Petrolio da record, aumenta la bolletta

Chi si illude che il record del prezzo del petrolio toccato ieri in Europa con 71,40 dollari al barile sia l'ultimo, e che in tempi stretti torneremo a livelli più ragionevoli farà bene a guardarsi un atlante geopolitico. La vera ragione per cui il valore del greggio continua ad aumentare non è infatti né la scarsità, né la speculazione, ma la crescente inaffidabilità dei Paesi che lo producono: e nella attuale situazione di mercato, basterebbe che uno solo dei dieci o quindici maggiori esportatori sospendesse - o riducesse drammaticamente - le forniture, perché i prezzi andassero davvero alle stelle. Gli operatori, perciò, tendono a cautelarsi, e i principali Paesi consumatori che se lo possono permettere a incrementare le loro riserve strategiche.
Oggi come oggi, i Paesi considerati più a rischio sono l'Iran (quarto produttore mondiale, con circa quattro milioni di barili al giorno), il Venezuela (ottavo, con tre milioni) e la Nigeria (dodicesima, con 2 milioni e 200mila): insieme, sono responsabili per oltre un decimo del fabbisogno totale. Le ragioni per cui sono nel mirino sono diverse. A causa delle sue ambizioni nucleari in violazione del Trattato di non proliferazione, l'Iran rischia di essere colpito, tra qualche settimana, da sanzioni economiche da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu: queste, a loro volta, potrebbero indurre la sua dirigenza ad adottare misure di ritorsione, come la riduzione delle esportazioni di greggio. I Paesi colpiti, tra cui la Cina e l'Italia, dovrebbero subito cercarsi fonti di approvvigionamento alternative, con il risultato di fare schizzare i prezzi. Con l'aria che tira, e l'estremismo del presidente Ahmadinejad, la crisi potrebbe protrarsi a lungo.
Per la Nigeria, i timori riguardano lo scoppio di conflitti interni tali da influire fortemente sulle sue capacità produttive. Già oggi, a causa della rivolta delle popolazioni del delta del Niger, dei frequenti sabotaggi e della riluttanza delle compagnie a fare nuovi investimenti, la produzione è calata di un quarto rispetto ai massimi e nessuno si aspetta un miglioramento della situazione prima delle prossime elezioni presidenziali. Per fortuna, questi tagli sono per ora compensati da aumenti negli altri Paesi produttori dell'Africa nera, in particolare l'Angola e la Guinea equatoriale, ma si tratta pur sempre di Paesi instabili, che di recente hanno conosciuto la guerra civile.
Ancora diverso è il discorso del Venezuela. Qui abbiamo a che fare con un presidente, Hugo Chavez, che vuole prendere l'eredità di Fidel Castro come campione della lotta contro l'imperialismo yankee. Per adesso, si guarda bene dal tagliare le forniture agli Stati Uniti, che sono il suo maggiore cliente, e preferisce utilizzare i lauti proventi della vendita del greggio per inseguire il suo sogno di «socialismo bolivariano». Ma l'uomo è imprevedibile, e potrebbe soggiacere in qualsiasi momento alla tentazione di utilizzare il greggio come «arma politica».
Il discorso, purtroppo, non finisce qui, perché anche altri grandi produttori sono a rischio. L'Arabia Saudita, prima della lista con 9 milioni di barili al giorno e un potenziale di 11-12, ha già sventato tre attentati alle sue installazioni petrolifere da parte di Al Qaida e si trova - comunque - nel cuore della regione più esplosiva del globo. La Russia, produttore numero due e principale fornitrice dell'Europa, ha tradito, in occasione della recente controversia con l'Ucraina, una preoccupante tendenza ad avvalersi delle sue immense risorse di idrocarburi per mettere i suoi clienti sotto pressione. Il Messico (n. 5) è alla vigilia di elezioni che potrebbero vedere trionfare un altro populista di sinistra, Andrei Lopez Obrador. L'Irak infine, che dispone delle più ingenti riserve dopo l'Arabia, non è neppure ancora riuscito a ripristinare la produzione prebellica e dovrà attendere a lungo prima di attirare i capitali necessari a rinnovare i suoi impianti di estrazione. Se i prezzi non sono impazziti ancor di più, possiamo ringraziare il fatto che il greggio viene prodotto in abbondanza (ma i giacimenti si vanno esaurendo) in Paesi sicuri come Stati Uniti, Norvegia, Canada, Gran Bretagna, e che abbiamo la prospettiva dello sfruttamento delle ingenti risorse dell'Asia centrale.
Gli ottimisti sostengono che i Paesi a rischio saranno costretti a vendere comunque il loro greggio per dare da mangiare alle rispettive popolazioni, ma questo è vero solo in parte, e non sul breve termine.

Per un po', essi possono benissimo resistere, e comunque distruzioni parziali di impianti, o blocco delle vie di comunicazione come l'affondamento di una petroliera nello stretto di Ormuz potrebbero egualmente produrre un effetto devastante.

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