Il petrolio scende sotto i 59 dollari

A deprimere i prezzi le attese per scorte Usa in crescita

Rodolfo Parietti

da Milano

Adesso, qualcuno già prefigura l’arrivo di un contro-choc petrolifero. Ovvero, di prezzi in rapido avvitamento, molto più bassi rispetto alla soglia dei 59 dollari il barile «bucata» ieri sia dal Brent a Londra, sia dai future del Wti a New York. Il mercato è tornato ai valori dello scorso febbraio, ma rispetto ad allora l’umore è ben diverso. Otto mesi fa le previsioni erano tutte al rialzo e il picco storico toccato l’8 agosto a quota di 79 dollari le avrebbe confermate appieno. Meno fortuna, col senno di poi, hanno invece avuto gli scenari catastrofici in base ai quali l’arrampicata del greggio sarebbe continuata fino alla vetta dei 100 dollari.
D’altra parte, le previsioni sull’oro nero sono, da sempre, caratterizzate da un’elevata dose di aleatorietà, essendo troppe le variabili in grado di condizionarne l’andamento. Rispetto allo scorcio finale dell’estate, le tensioni geopolitiche, soprattutto quelle legate al braccio di ferro sul nucleare tra Iran e Stati Uniti si sono stemperate; sono cessati gli attacchi da parte dei ribelli nella zona del Delta del Niger; e si è dissolta la minaccia di nuove devastazioni alle coste Usa e agli impianti nel Golfo del Messico portate dagli uragani. Tre elementi in grado, da soli, di raffreddare i prezzi. Molti dei timori del mondo industrializzato, legati a un mix indigesto di alta inflazione e di recessione, sono rientrati, mentre è ora l’Opec a essere preoccupata, al punto da spingere ieri il presidente Edmund Daukoru a chiedere ai Paesi del Cartello di unirsi all’iniziativa della Nigeria, che ha deciso di tagliare la produzione - a partire dal primo ottobre - di 100mila barili al giorno, subito imitata dal Venezuela. «Riteniamo - ha spiegato Daukoru - che il mercato sia sovrarifornito e che la Nigeria abbia dato il buon esempio. Stiamo facendo quello che riteniamo giusto alla luce dell’andamento del mercato».
L’Opec è insomma convinta che il ribasso delle quotazioni non sarà temporaneo. Anche perché dagli Stati Uniti sono attesi per oggi nuovi dati positivi sulle scorte petrolifere. Gli stock strategici dovrebbero indicare una situazione decisamente migliore rispetto a uno anno fa, con particolare riferimento alle giacenze di gasolio, un indicatore monitorato con particolare attenzione in vista della stagione invernale. Anche la decelerazione del ciclo economico statunitense, confermata dalla recente revisione al ribasso del Pil nel secondo trimestre (più 2,6%), potrebbe provocare un calo della domanda e impattare quindi sui prezzi del barile.
L’Agenzia internazionale dell’energia, tra l’altro, ha stimato un incremento nel 2006 delle richieste di petrolio a livello mondiale pari all’1,3%, più bassa dunque rispetto alle previsioni precedenti. Ciò sembra dar ragione a quanti accusano il mercato di aver sovrastimato l’impatto della Cina, la cui sete energetica pesa invece solo per l’8% sulla domanda globale.

E nel prossimo futuro l’aumento di offerta (da 12 a 15 milioni al giorno in più tra il 2010 e il 2012), reso possibile dagli investimenti in nuovi giacimenti effettuati dalle compagnie, dovrebbe portare a ulteriori ribassi dei prezzi.

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