Il petrolio vola, Borse al tappeto

(...) soldato. Non gli hanno sparato nelle lande più remote e pericolose delle nostre missioni di pace. L’hanno freddato in un ufficio postale, a Pagani, un centro del Salernitano. Caduto all’età di Nostro Signore, trentatré anni appena, in quella particolare stagione della vita che ancora mette a confronto i sogni giovanili con le ruvide contraddizioni della realtà. Il suo nome, Marco Pittoni, risalterà nelle cronache per qualche giorno, quindi svanirà in dissolvenza sulla targa di una via periferica o dei giardinetti pubblici che il suo paese natale eventualmente gli dedicherà. Altro, fra breve, non resterà.
Ci sono diversi modi di fotografare l’Italia. Solitamente mettiamo al centro sempre gli stessi, l’allegra compagnia di giro che ci cattura e ci introduce nella finzione della propria realtà televisiva. Poi, saltuariamente, uno sparo in periferia, lontano dalla scena, ci presenta tutto un altro quadro, così inaspettato e insospettato da lasciarci increduli. Ma dai: un giovane di trentatré anni, cioè uno di quei giovani che crediamo smidollati e sbiellati dalle delizie della bella vita d’oggi, si immola in un ufficio postale per fermare una rapina. I particolari che via via apprendiamo aggiungono benzina all’emozione e alla sorpresa: figlio di carabiniere, fratello di carabiniere, senza tante chiacchiere serviva da anni il suo Paese, in giro per caserme lontane, dove le nostre ansie di sicurezza ormai hanno fissato il vero fronte e la nuova trincea. Il sottotenente Pittoni veniva dal Sulcis, da quella zona della Sardegna bellissima e nascosta che per tanto tempo è vissuta di miniere, pagando in sudore e malattie, fame e lutti, la durezza del lavoro sottoterra. Queste le sue radici. Questa la sua storia, comune e anonima, ma non per questo meno carica di attese, di progetti, di sogni: rispetto a tanti suoi coetanei, che si battono per un posto al sole, o quanto meno per un posto in tribuna Vip da qualche parte, semplicemente si batteva per una banalissima idea di giustizia.
Per conoscerlo meglio, per apprezzarlo come merita, basta rivederlo negli ultimi istanti della sua vita. Mentre i rapinatori puntano le pistole, questo giovane italiano del Sulcis potrebbe tranquillamente fare l’italiano come tanti altri, come troppi di noialtri, cioè fare finta di niente e girarsi dall’altra parte, mimetizzandosi da cliente qualsiasi, visto che in quel momento non porta la divisa. Adesso nessuno starebbe qui a piangere un carabiniere in meno, né l’opinione pubblica si accorgerebbe di una delle tante rapine nei nostri uffici postali, con quel bottino ridicolo, poi. Tremila euro, sai che colpo del secolo... Purtroppo o per fortuna, nell’ufficio postale di Pagani c’è un giovane italiano del Sulcis che non pensa nemmeno un attimo di fare l’italiano medio, l’italiano opportunista e furbastro che prima di tutto porta a casa la pelle: là dentro, davanti ai nuovi gangster, c’è un carabiniere che ci crede, un carabiniere vero, che proprio non sopporta l’illegalità e la prepotenza, che proprio non riesce ad accettare la violenza e la prevaricazione, che tutti i giorni, da tanto tempo, pensa e sente una cosa soltanto, benché magari segreta e inespressa: sì, ciascuno, al proprio posto, fosse l’ultimo posto di questa benedetta nazione, deve svolgere per bene il proprio dovere, al massimo delle possibilità, spendendo tutte le proprie qualità, finché è possibile, finché si riesce.
Così, il sottotenente Marco Pittoni, con quel suo fisico secco alla Fassino, con quel suo viso da ragazzo perbene e con quel suo sguardo da uomo giusto, fa l’unica cosa che in quella situazione gli riesce di fare: il proprio dovere, senza stare al centro della scena, senza applausi e senza premi tv. Non spara neppure: il vero carabiniere non spara mai per primo in un ufficio postale, esponendo al pericolo la gente comune. Il vero carabiniere prova a disarmare il farabutto. Il vero carabiniere si sacrifica e si gioca la vita.
Dal nostro punto di vista, è un eroe. Solo questo, sappiamo dire. Con un’aggiunta niente affatto secondaria: tutto questo, specifichiamo, per milletrecento o millequattrocento euro al mese (poi ci sarà pure chi con un certo zelo preciserà “millecinquecentosettanta”, come se la precisazione rendesse più accettabile il paradosso).
Quale eccezionale scoperta. Apprendiamo che italiani così esistono. Che una certa Italia esiste, fuori dalla scena pubblica, lontana dal circo barnum, esclusa dai giri che contano. Con inspiegabile propensione masochistica, quest’Italia resta ferma e irremovibile al proprio posto, imperturbabile alle mode e alle tendenze, semplicemente e modestamente orgogliosa di svolgere il proprio compito, tutti i giorni, finché possibile. Per sé, per la propria coscienza, per un proprio concetto - così astruso e anacronistico - di appartenenza civile.
Di questa Italia il sottotenente Marco Pittoni è la massima espressione. Per fortuna, non è il solo. Ce ne sono tanti, dentro e fuori l’Arma dei carabinieri. Stanno nei campi, nelle fabbriche, negli uffici, nelle università. Nelle scuole e negli ospedali. Ciascuno con una storia nobile e dignitosa.

Che però riaffiora e ci interessa soltanto dopo una rapina o dopo un’alluvione. A bocce ferme, quando stiamo bene e non abbiamo grane per la testa, vogliamo sapere tutto degli italiani che contano davvero. Chi se la perde, la gloriosa vita del tronista?

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