Antonio Lodetti
da Milano
Come si fa ad essere un compositore davanguardia e al tempo stesso una star? Ad essere il padre - assieme a La Monte Young, Steve Reich e Terry Riley - del minimalismo e al contempo il compositore più pagato del mondo? Bisogna chiamarsi Philip Glass e - come sottolinea lui - «avere il coraggio di dire cose nuove, cercando di superare i nostri maestri come Berio e Stockhausen perché comunque è impossibile imitarli». Per superarli Glass si è spinto oltre ogni frontiera, spaziando da Waiting For the Barbarians (sulla guerra in Iraq) opera tratta dal romanzo del Nobel per la letteratura J.M.Coetzee alla musica che ha accompagnato i giochi olimpici, lavorando con orchestre sinfoniche, con registi di cinema, con maestri spirituali come Ravi Shankar e ora tornando in Italia con Patti Smith. Già, perché anche da noi il maestro è molto amato, tanto che dal 4 all8 aprile, al Mart di Rovereto, sarà protagonista assoluto di «Effetto Glass», il festival che lo vedrà impegnato in solitudine al pianoforte (il 5),nellinedito progetto Dreaming Together con il violoncellista Giovanni Sollima e la ballerina-coreografa Melissa Fenley (6), con il suo ensemble (il 7) e nella prima esecuzione italiana di Music In Twelve Parts(il suo primo successo) lultimo giorno. Il festival aprirà martedì 4 con lo show insieme a Patti Smith in omaggio al padre della beat generation Allen Ginsberg.
«Al di là del mito e delle coreografie degli hippie, Ginsberg è stato un grande pensatore, un uomo per cui la cultura non conosce confini. Il suo processo creativo era assolutamente libero e spontaneo, un po come il mio».
Come mai lo celebra insieme a Patti Smith?
«Ci siamo conosciuti nel 79.Lei è unartista versatile; lanello di congiunzione tra la beat generation e il rock colto degli anni Settanta, quello lontano dalla decadenza e dalle regole del commercio. Poetessa, pittrice, cantante, lei sa cosa significa dare forti emozioni. Faremo uno spettacolo molto particolare a cavallo tra musica e poesia per abbattere ogni barriera stilistica, prima in coppia poi ognuno per conto proprio».
Cosè la musica per lei?
«È fonte di vita come lacqua o laria, è il mio spirito, la mia forza e la mia debolezza».
Ci vorrebbe un libro per parlare delle sue radici musicali.
«Nella diversità dei generi ho imparato a creare il mio stile, sempre identificabile ma sempre diverso. Ho amato Mozart e Stravinskij, Bach e Anton Webern, i suoni sinfonici e dodecafonici. Sono stato allievo di Milhaud e di Persichetti ma non ho mai avuto un atteggiamento supponente e intellettuale nei confronti della musica. La musica è di tutti e deve arrivare a tutti».
Lei ha scritto anche opere su Einstein, Gandhi, il faraone Akhaten, quali sono i suoi modelli extramusicali?
«Prima di tutto gli indiani pellerossa che, senza le infrastrutture della cosiddetta civiltà, mi hanno insegnato molte verità. Poi in generale la cultura orientale e africana. tra i personaggi Ravi Shankar, una fonte di saggezza infinita, e Gandhi che è sempre di grande attualità in un mondo così violento e cinico. In maggio riproporrò Satyagraha, lopera a lui dedicata, alla London National Opera».
Ha altri progetti?
«A proposito di personaggi spirituali, sto scrivendo una lunga composizione dedicata a Rama Krishna, nato nel 1885, che nella sua prossima reincarnazione unificherà in sé tutte le religioni. Naturalmente continuerò a girare il mondo con il mio Ensemble e continuerò a produrre nuovi artisti con la mia etichetta Point Music».
Qual è il fine di questa sua incessante ricerca?
«Mi evolvo attraverso la mia opera; in pratica cerco me stesso sperando di non trovarmi mai completamente».
E del rock cosa pensa?
«È divertente, vitale, lancia messaggi positivi. Gruppi come Beatles e U2, ma anche tanti altri sconosciuti, sono punti di riferimento per il futuro».
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