È più pericoloso acquistare il petrolio che l’uranio

Rispondendo a un lettore, Paolo Granzotto mi ha chiamato pesantemente in causa. Chiedo quindi di poter replicare brevemente. La ragione per cui l’energia nucleare non può contribuire all’indipendenza energetica del nostro Paese non è legata al piccolo numero di centrali, ma all’incontrovertibile fatto che l’Italia non ha uranio, che dovrebbe quindi importare. Il nucleare non è compatibile col libero mercato; infatti si costruiscono nuove centrali praticamente solo nei Paesi a economia pianificata come Cina, Russia e India, dove lo Stato si accolla gran parte dei costi. Il tentativo del rilancio del nucleare in Europa da parte della ditta francese Areva con la costruzione in Finlandia di un reattore del tipo di quelli che si vorrebbero installare in Italia sta naufragando: il contratto prevedeva la consegna del reattore «chiavi in mano» nel settembre 2009 al costo di 3 miliardi di euro: a oggi, i lavori sono in ritardo di 3,5 anni e il costo è aumentato di 1,7 miliardi; ma non è finita, perché nel novembre scorso le autorità per la sicurezza nucleare di Finlandia, Francia e Inghilterra hanno chiesto drastiche modifiche nei sistemi di controllo del reattore, cosa che da una parte causerà ulteriori ritardi e dall’altra conferma che il problema della sicurezza non è risolto. Due problemi rendono molto difficile se non impossibile la costruzione di centrali nucleari nei Paesi a libero mercato. Il primo è in che modo e con quali costi si provvederà alla messa in sicurezza delle scorie ad alta radioattività, pericolose per centinaia di migliaia di anni, problema che non è stato risolto neppure negli Stati Uniti. Il secondo è chi si deve assumere l’onere dello smantellamento delle centrali al termine del loro funzionamento, problema che a esempio in Gran Bretagna si è stabilito di rimandare di 100 anni dopo la chiusura. Quanto agli Stati Uniti, McCain aveva nel suo programma la costruzione di 54 nuove centrali nucleari, mentre oggi con Obama non è stata autorizzata la costruzione neppure di una centrale. Infine, se l’energia nucleare è il toccasana per risolvere i problemi energetici, qualcuno dovrebbe spiegare la notizia data da Le Monde il 17 novembre scorso: pur avendo 58 reattori nucleari, la Francia attualmente importa energia elettrica.

Università Bologna

Sarà sicuramente come dice lei, egregio professore, però, scusi sa, nella sua lettera scrive: «Si dice anche che lo sviluppo dell’energia nucleare è un passo verso l’indipendenza energetica del nostro Paese. Premesso che le quattro centrali previste nel piano del Governo produrrebbero solo il 14% dei consumi elettrici, corrispondenti a un modesto 3,2% dei consumi energetici finali italiani...». Seguita poi col dire che adottando il nucleare saremmo comunque dipendenti dai Paesi produttori di uranio. Giusto. Ma a parte il fatto che il 50 per cento dei giacimenti si trovano in Australia e Canada, Paesi «tranquilli», mentre la dipendenza, il flusso del petrolio deve essere continuo, la fornitura di una modica quantità di uranio manda avanti la centrale per un bel numero di anni. Facciamo l’esempio delle portaerei: quelle nucleari possono navigare, con una sola «carica», per 800mila miglia. L’autonomia di quelle tradizionali è di circa 4mila miglia, al termine delle quali deve rifare il pieno con centinaia di migliaia di litri di carburante. Quanto a Obama, mi spiace contraddirla, egregio professore. L’Uomo della Provvidenza ha detto chiaramente di non essere contrario al nucleare (purché, ovviamente, sicuro eccetera). Il suo Segretario all’energia, il Nobel Steven Chu, ha recentemente ripetuto che l’America deve fornirsi di altre centrali termoelettriche, a carbone e nucleari.

E le ricordo, egregio professore, che negli Usa di centrali nucleari in costruzione ce ne sono quattro, e undici in via di autorizzazione. Quanto a Le Monde, mi spieghi lei come mai la Francia importa energia elettrica e al tempo stesso l’esporta - prodotta col nucleare - in Italia.
Paolo Granzotto

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