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Il piano di Casini: la scissione del Pd in dote a Berlusconi

RomaSe il segretario dell’Udc si sbilancia nei vaticini («Nelle prossime settimane potrebbe succedere qualcosa di nuovo nel Pd», ha annunciato sibillino ieri Lorenzo Cesa) vuol dire che i tempi di una scissione sono maturi. O che si cerca di accelerarli.
Nel principale partito di opposizione la minoranza ex democristiana è in crisi profonda di identità, e si chiede «che ci stiamo a fare in un partito destinato all’opposizione e dominato dai Ds», come sintetizza un post Ppi oggi anima in pena. Soprattutto, molti tra i parlamentari si interrogano su un tema fondamentale: chi li rieleggerà, la prossima volta? Ecco quindi che il movimentismo casiniano finisce per esercitare un fascino difficilmente resistibile. In casa Udc (ma anche nel Pd) si indica in Peppe Fioroni, l’ex ministro dell’Istruzione di Prodi, il capofila della possibile trasmigrazione. Ma tra deputati e senatori (per non parlare del famoso «territorio», dove consiglieri regionali e comunali in fibrillazione si contano a decine) quelli in preda a «un grande malessere», come dice Cesa, sono diversi: si fanno i nomi di Enrico Farinone, Giorgio Merlo, Giovanni Sanga, Ivano Strizzolo, Andrea Rigoni, Luciana Pedoto. Tutti ex Ppi, vicini a Fioroni, tutti quaranta-cinquantenni che si interrogano preoccupati sul proprio futuro. I «vecchi» post Dc, i padri nobili come Franco Marini o Pierluigi Castagnetti, anche se a disagio nel Pd, non hanno interesse ad organizzare scissioni. Gli altri cattolici, dalla Bindi a Enrico Letta, hanno postazioni di comando nel Pd. Ma Fioroni, che da buon democristiano ha alzato spesso la voce contro il segretario per aprire poi una trattativa che gli desse più spazi di manovra interni, da mesi aspetta una telefonata di Bersani che non è arrivata. Ora, dicono in molti, si è stufato di attendere. E ha riaperto un assiduo dialogo con Cesa, vecchio amico della Dc laziale, quando Fioroni era il capobastone andreottiano e l’attuale segretario Udc quello forlaniano.
A Casini sorride assai l’idea di portare in dote ad un futuro, ipotetico governo di «larghe intese» la scissione dei cattolici del Pd. Anche se in casa Udc c’è un crescente scetticismo sulla possibilità che si concretizzi: «Il Cavaliere vorrebbe, ma lo preoccupa troppo l’idea di aprire una crisi e di vedersi poi soffiare il pallino da un asse Napolitano-Fini-Casini». In fondo al cuore, pensano in casa centrista, Berlusconi continua a preferire l’idea di elezioni anticipate, proprio quelle che l’Udc vuole evitare. E che il Pd vede come la peste bubbonica, come è facile immaginare: a parte i voti, gli mancano anche un’alleanza con l’Udc e un candidato premier. Lo statuto obbliga alle primarie, Nichi Vendola (non a caso un fan del voto anticipato) è pronto a candidarsi e corre pure il serio rischio di vincerle, visto il clima nel centrosinistra.

Pierluigi Bersani (che al solito non è fortunato nel programmare i tempi dei suoi viaggi, vedi missione in Cina in pieno varo della manovra) in questa settimana cruciale si ritrova Oltreoceano, in Usa, a sei ore di fuso. E da Washington fa sapere: «Niente larghe intese, va chiuso il ciclo del berlusconismo».

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