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Il piano di salvataggio proposto da Tatò stroncato dal commissario

MilanoÉ una bordata di insolita asprezza contro «Kaiser Franz», ovvero Franco Tatò, già presidente di Mondadori e di Enel, e fino a venerdì scorso liquidatore dei Viaggi del Vantaglio. A tirarla è un altro uomo d’azienda: Giuseppe Verna, commercialista, che del Ventaglio era stato nominato commissario dal tribunale di Milano. Da venerdì, quando è stato dichiarato il fallimento della società, Verna è uno dei tre curatori. Ma è dalla relazione consegnata ai giudici un paio di settimane fa che si scopre il dettaglio su Tatò che potrebbe risultare indigesto alle tante vittime del crac della compagnia. Tatò e la sua collega Lucia Morselli, sostiene in sostanza Verna, nel preparare il piano di salvataggio avrebbero anche generosamente pensato a se stessi: inserendo una clausola che garantiva loro più di quattro milioni di euro di ricompensa. Tecnicamente, «oneri prededucibili»: vuol dire che Tatò e la Morselli si garantivano la certezza di incassare i quattrini anche se nessun altro dei creditori - compresi i tanti vacanzieri fregati - avesse visto mezzo euro.
Ma non è il solo dettaglio singolare che emerge dalla lettura della relazione presentata da Verna ai giudici milanesi, e che ha avuto come conseguenza la bocciatura del piano di salvataggio e la dichiarazione di fallimento. Raramente è dato leggere un documento in cui professionisti di questo livello si scambino simili asprezze. Perché si intuisce che già Tatò e la Morselli avevano accusato Verna di puntare a compensi esagerati. E quest’ultimo ribatte accusando il piano di salvataggio di badare soprattutto a salvare, più che i creditori, i vecchi proprietari, i Colombo, che dopo avere condotto l’azienda al dissesto puntavano a mantenerne comunque il controllo.
In particolare Verna punta il dito contro un escamotage che Tatò avrebbe cercato di utilizzare: quello di sottoporre il piano di salvataggio al voto di una assemblea dei creditori dove lui stesso aveva la maggioranza assoluta, come liquidatore di tre società del gruppo che vantavano crediti verso la capofila (anche se si trattava, in realtà, di crediti bilanciati da altri debiti). In questo modo si sarebbe puntato a rifilare allo Stato, al posto dei soldi dovuti dalla società, pacchetti di azioni dal valore e dal contenuto imprecisato («ritengo che la proposta non indichi ai creditori nè il tipo e le caratteristiche delle azioni che riceveranno»). Significativa, da questo punto di vista, sarebbe secondo Verna una operazione sponsorizzata dal duo Tatò-Morselli: la vendita di un albergo a Bayahibe, nella Repubblica Domenicana, per oltre quattro milioni di dollari. Il ricavato non sarebbe però finito a soddisfare le vittime del crac, ma sarebbe rimasto all’interno del gruppo. «Solo dietro mie insistenti richieste sono venuto a sapere che intendimento degli amministratori è destinare il ricavato netto dell’operazione Bayahibe al rafforzamento del gruppo e non al soddisfacimento dei crediti (..) Tale dichiarazione non può condividersi giacché obbligo di Ventaglio è quello di pagare i propri debiti verso le società in concordato senza tanti giri di parole».
«É in corso - sintetizza il commissario - una operazione il cui risultato utile dichiaratamente è destinato a finalità diverse dal soddisfacimento dei creditori».

E, ancora più pesantemente: «Nel comportamento dell’organo gestorio delle tre società in concordato pare potersi configurare atti diretti a ridurre illegittimamente le ragioni dei creditori». Ora la parola passa alla Procura, che dovrà vagliare se nell’operato degli amministratori dei Viaggi del Ventaglio emergano aspetti che possano configurare il reato di bancarotta.

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