La piccola Erika in aula parte civile contro suo padre

Alla sbarra per duplice omicidio aggravato e occultamento di cadavere. Si sono incontrati di nuovo, dopo quasi un anno, Paolo Esposito e Ala Ceoban, 40 e 24 anni, accusati di aver massacrato e (ben) nascosto i corpi di Tatiana Ceoban, 36 anni, e della figlia maggiore Elena, 13 anni.
Davanti al presidente della Corte d’Assise di Viterbo, Maurizio Pacioni, e alla giuria popolare, però, nemmeno uno sguardo d’intesa. Ala, attenta a ogni parola pronunciata in aula, e Paolo, a tratti pensieroso ma anche sorridente durante l’intervento dell’avvocato Luigi Sini, legale di parte civile, ovvero della madre di Tania nonché nonna di Elena Ceoban, Elena Nikyfor, 62 anni.
Durante l’udienza un colpo di scena: l’ultima telefonata di Elena viene ricevuta su un cellulare di Esposito. È la prova regina del duplice omicidio? «Dimostreremo a questa Corte - dichiara il pm Renzo Petroselli - che Tatiana ed Elena sono state uccise dagli imputati, uniti da una relazione intensa, culminata nel progetto di disfarsi di madre e figlia». Il presunto movente è noto: eliminare la compagna scomoda e ottenere l’affidamento unico della figlia di sei anni, Erika, per quanto riguarda Esposito, sostituirsi alla sorella Tania nel rapporto con lo stesso Esposito per Ala, sorella di Tania e zia di Elena, nonché amante segreta di Paolo. Un giallo intricatissimo se la storia non fosse accaduta realmente a Gradoli, paesino alle porte di Bolsena. Un dramma che ruota attorno a indagini spesso lacunose e, soprattutto, a una serie di telefonate fra gli imputati, le vittime e i familiari fra loro. Durante l’udienza è stato stabilito che Erika può costituirsi parte civile contro il padre e la zia Ala. Una decisione contro la quale i difensori di Esposito, gli avvocati Enrico Valentini e Mario Rosati, e di Ala, l’avvocato Pierfrancesco Bruno, ricorreranno in Cassazione.
Dopo la costituzione delle parti è stata la volta dell’acquisizione delle prove, dei testi, di tutti i tabulati telefonici, compresi quelli fra Tatiana e la madre Elena, del diario di Tania, dello scontrino consegnato da Paolo ai carabinieri relativo all’acquisto di una videocamera fatto dalla vittima il giorno della scomparsa, dei brogliacci delle linee dei bus per la Moldavia (in cui le donne non risultano fra i passeggeri), la denuncia di Esposito per abbandono di minore tre giorni dopo il presunto allontanamento della compagna, alcune sequenze della trasmissione Chi l’ha visto? in cui Paolo sostiene che la loro era un’unione tranquilla. Soprattutto la scatola e un telefono cellulare sequestrati nell’ufficio di Esposito a Gradoli il 4 agosto 2009. Ebbene, il codice Imei (una specie di numero di telaio di un cellulare) è lo stesso del terminale su cui il 30 maggio 2009 arriva la telefonata delle 17,30, durata 35 secondi, fra Tania e la figlia, mentre la prima tornava a casa.

Elena, o qualcuno da stabilire, avrebbe estratto la sim dal proprio cellulare per inserirla su quello trovato a Esposito, un Motorola. Perché? Soprattutto perché, poi, quell’apparecchio è finito in via Piave?
yuri9206@libero.it

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