Il piccolo Pantheon paradiso soltanto dei «writer»

La chiesa di Sant’Andrea Apostolo, gioiello rinascimentale realizzato dal Vignola, è da anni lasciato alla mercé di ladri e vandali

Valeria Arnaldi

Pareti coperte di scritte e murales, facciata annerita dallo smog, intonaco danneggiato dalle vibrazioni dei tram che passano poco distanti dalla porta d’ingresso. Intorno, marciapiedi coperti da erbacce e sporcizia, e per paradosso, aiuole sterrate, «fiorite» solo di escrementi canini e bottiglie di vetro rotte. Dal campanile, pende il motore della campana elettrica, guasta, ormai, da anni. È quasi irriconoscibile il «piccolo pantheon», realizzato tra il 1551 e il 1553, su progetto di Jacopo Barozzi da Vignola, in via Flaminia. Il gioiello rinascimentale, evidentemente ispirato al Pantheon e dedicato a Sant’Andrea Apostolo, meta di viaggi e pellegrinaggi fino all’Ottocento, oggi è, infatti, abbandonato al degrado. Divenuto una sorta di spartitraffico tra via Flaminia e viale Tiziano ha la sventura di trovarsi all’interno di un giardino, spesso teatro di risse e che, di notte, ospita senzatetto, ubriachi e sbandati. Non un problema da poco per la piccola chiesa, più volte rimasta vittima di furti. «I ladri hanno portato via tutto quello che c’era - racconta monsignor Francesco Bruno, che ogni domenica alle nove, vi si reca a dire messa per una piccola ma puntuale comunità di fedeli -. I furti si sono ripetuti più volte, sempre in coincidenza della chiusura estiva. Sono stato costretto a togliere il cartello che segnalava la sospensione delle celebrazioni. Non affiggo più comunicazioni, annuncio le vacanze dal pulpito». A fine messa, un paio di settimane prima della chiusura, il prete ricorda l’imminente pausa, rimandando tutti all’autunno. L’ultima domenica, alcune parrocchiane lo aiutano a chiudere la chiesa, a togliere quanto possa fare gola a eventuali delinquenti, ma anche a strappare le erbacce nel cortile interno e a provvedere alla manutenzione della struttura, fortemente provata da anni di incuria. Circa dieci anni fa, la Soprintendenza per i beni architettonici del Comune fece eseguire alcuni interventi di restauro e consolidamento. La chiesa fu ripulita, furono tolti i candelabri che, omaggio di un privato, non rispondevano allo stile dell’edificio, furono realizzati un impianto di illuminazione esterna e uno per la cupola - non per l’aula né per il pulpito, però - e fu sostituita la vecchia campana a corda con una più moderna, elettrica. Quest’ultimo lavoro è fonte di rammarico per i parrocchiani e quanti risiedono nella zona. «Ha funzionato una sola volta - dice monsignor Bruno -. Al primo tocco, l’alimentatore è crollato. Abbiamo chiamato l’azienda che l’aveva installato ma nessuno è venuto a ripararlo. E così, la nostra chiesa è muta da dieci anni». I restauratori avevano promesso di tornare a completare i lavori, come dimostrano i cavalletti lasciati in sacrestia e le tracce di vernice e colla non pulite, ma non lo hanno mai fatto.
E sì che i problemi non mancano. L’edificio, costruito su un antico sepolcro, è gravemente danneggiato dall’umidità che sale dal sottosuolo. Ne risentono particolarmente gli affreschi, che vanno progressivamente scomparendo. Non ne è esente la cupola, sulla quale compaiono evidenti gore. Al mattino, inoltre, una sorta di muffa biancastra ricopre il pavimento, pazientemente ripulito dalle volontarie, tutte signore benestanti, amanti dell’arte e della storia della città. Il piccolo pantheon, oltre a essere un’importante opera del Vignola, ha un rilevante significato storico. Fu realizzato, infatti, in seguito al voto dell’allora semplice prelato Giovanni Maria Ciocchi del Monte - futuro papa Giulio III - durante la fuga da palazzo della Cancelleria, occupato dai lanzichenecchi nel sacco di Roma del 1527.

Riuscito a fuggire nel giorno di Sant’Andrea, Giulio III volle dedicare al santo una chiesa nel punto in cui papa Pio II, nel 1458, aveva fatto una sosta andando incontro al cardinal Bessarione che portava in città le reliquie del santo. La protezione dell’apostolo martire, però, sembra non essere bastata all’edificio per salvarsi dalla «dimenticanza» delle istituzioni.

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