Di Pietro diserta la prima piazza

"Una, cento, mille piazze". L’onorevole Di Pietro Antonio così aveva promesso. Si è distratto al primo appuntamento. Ieri sera, sito di Ugento, terra salentina che si affaccia sullo Ionio, lo hanno aspettato invano, in mille, in piazza Adolfo Colosso. Non pervenuto

Di Pietro diserta la prima piazza

«Una, cento, mille piazze». L’onorevole Di Pietro Antonio così aveva promesso. Si è distratto al primo appuntamento. Ieri sera, sito di Ugento, terra salentina che si affaccia sullo Ionio, lo hanno aspettato invano, in mille, in piazza Adolfo Colosso, con tanto di mezzo busto al personaggio illustre di questa fetta del Salento. Non pervenuto. Voci di paese e di partito avevano garantito la presenza e partecipazione dell’ex piemme, insieme con don Ciotti, alla fiaccolata in memoria di Peppino Basile, consigliere comunale ucciso a coltellate, la notte del 15 giugno scorso. Di Pietro ha scelto altre piazze, don Ciotti ha avuto impegni diversi, i mille hanno sperato e aspettato, ritardando di mezz’ora l’avvio della marcia, le fiaccole si sono mosse verso la casa di Basile, in fondo a via Nizza, là dove finisce il paese e incomincia la campagna, buia, là dove qualcuno è scappato, senza essere visto.
Omicidio di passione, assassinio di vendetta criminale? Forse. Ma il nostro è il Paese del dubbio e dell’avviso di garanzia, dunque per gli esponenti dell’Italia dei Valori la morte feroce di Basile è una buona occasione per sventolare le bandiere della giustizia, è qualcosa che avrebbe a che fare con la politica perché Peppino Basile era un rompiballe, perché Peppino aveva nemici mille e amici nello stesso numero tra gli stessi nemici, sapeva accendersi per nulla, teneva concioni dovunque e comunque, aveva una vita bizzarra, generosa, inquieta, imprevedibile, attirava amici e amiche per poi restare isolato nel momento decisivo. Ugento non è Cogne anche se ieri sera c’erano telecamere, giornalisti, folla. Hanno pensato di ricordarlo con le torce antivento, gente di ogni dove, un migliaio in corteo silenzioso, civile, nessuno slogan, una bandiera tricolore con nastro nero, un drappo della pace, lenzuola bianche ai balconi, lungo le terrazze, alle finestre, messaggio di pace e di fratellanza, secondo moda non pugliese, per un morto ammazzato. Un paio di sindaci da fuori, un esponente della provincia, assente al completo la giunta di Ugento, contraria alla manifestazione, così il sindaco Eugenio Ozza, amico e nemico di Basile, ha scelto di non aderire alla «speculazione sul morto», come ha fatto Ada Cairo, ex moglie di Basile: «Vivo in silenzio e in disparte questi momenti, come ho sempre fatto nella mia vita».
Che c’entra la politica con tutto questo? Lo sanno coloro i quali hanno costruito, nei giorni successivi l’omicidio, tesi e teoremi sull’agguato di matrice fascista, tirando fuori dagli archivi addirittura un altro episodio di criminalità, accaduto, tenetevi forte, sempre a metà giugno ma nell’anno 1922, vittima Cosimo Profico, un bracciante di sinistra ucciso con quattro pistolettate alla nuca da Luigi Ancora, un facinoroso di destra. Di Pietro deve avere capito, per esperienza professionale, che la fine di Peppino Basile, ex missino, passato all’Italia dei Valori, non può avere radici profonde e serie nella vendetta politica. L’omicidio, agghiacciante per le modalità, 19 coltellate inferte dal basso in alto («non è roba nostra, non è gente di qui, puzza di criminalità straniera» la voce di popolo che trova conferma anche tra gli inquirenti), non ha ancora trovato soluzione; il corteo è sfilato con uno striscione che chiedeva «Verità e giustizia per Peppino».

Si è fermato davanti alla casa di Basile, qui è stato proiettato su un maxischermo un ricordo di venti minuti, i comizi, la sua vita politica, parole e gesti, nell’introduzione Peppino era paragonato al «Gladiatore», il film interpretato da Russel Crowe. Le fiaccole erano ormai spente, la casa di Basile è tornata al buio, come la sua morte.

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