Di Pietro nei guai: indagato per truffa sui rimborsi all’Idv

Che la gestione dei soldi all’interno dell’Italia dei Valori fosse un gran casino, il Giornale l’ha scritto e documentato almeno venticinque volte. L’ultima il 4 giugno scorso quando ha spiattellato i dettagli di una nuova inchiesta della procura di Roma che oggi ha portato il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, ad essere iscritto sul registro degli indagati. Il reato ipotizzato? Quello previsto dall’articolo 640 del codice penale: truffa.
La vicenda è nota ai lettori e riguarda presunti illeciti collegati alla riscossione dei rimborsi elettorali da parte del presidente del partito del gabbiano a far data dal 2004 (e forse prima), anno in cui l’ex pm di Mani Pulite si alleò per le Europee con il gruppo politico di Achille Occhetto, denominato il Cantiere, e con Elio Veltri, suo vecchio amico. Aperte le urne, conosciute le intenzioni di Tonino di tenersi i rimborsi per sé, Occhetto e Veltri promossero due, anzi tre iniziative. La prima contro l’Idv. La seconda contro la Camera (nei confronti della quale ottennero un clamoroso decreto ingiuntivo di rilevante importo). La terza sulla dicotomia Associazione Idv-Partito Idv approdata anche negli uffici giudiziari delle Capitale e sfociata in una serie di accertamenti della Gdf che hanno «obbligato» i pm romani Attilio Pisani e Alberto Caperna a mettere sott’inchiesta Di Pietro.
Stando agli esposti presentati a più riprese da Veltri, il politico di Montenero di Bisaccia avrebbe costituito ad hoc un’«associazione» privata composta da tre persone (lui, la moglie Susanna Mazzoleni, la tesoriera del partito Silvana Mura) spacciandola per il «movimento-partito» che al pari degli altri «partiti» è il solo autorizzato a presentare le liste e a incassare i fondi. Sostituzione giocata sull’omonimia se è vero che l’Associazione privata ha la stessa denominazione del Partito-Movimento. In questo modo, sempre secondo le carte in mano alla procura, l’«Associazione Italia dei Valori» si sarebbe sostituita al «Movimento-Partito Italia dei Valori» ricorrendo ad autodichiarazioni false al fine di ingannare i controllori della Camera dei Deputati e far confluire i rimborsi in un conto corrente bancario nella sola disponibilità dei soci dell’Associazione (Di Pietro, Mazzoleni, Mura) anziché in quella del Partito. Nonostante l’ordinanza del tribunale di Roma del 23 luglio 2008 abbia sancito la «diversità» fra i due soggetti giuridici, Di Pietro continua a rivendicare onestà e limpidezza di comportamenti sostenendo che l’Associazione «è il Partito».
Quando la questione dei soldi nel partito venne sollevata dal Giornale, Di Pietro corse (da solo) dal notaio e modificò (sempre da solo) lo statuto. Così a dicembre 2009, sulla scia di nuove carte che dimostravano la «diversità» dell’Associazione dal Partito, Tonino si è recato nuovamente dal notaio per evitare confusione, di nomi e di ruoli, per sanare eventuali anomalie e per ufficializzare, una volta per tutte, l’unicità dei due diversi soggetti. A differenza del solito, però, erano presenti anche i componenti dell’ufficio di presidenza del Partito (Donadi, Orlando e Belisario) che nero su bianco hanno ratificato la circostanza - essenziale per il percepimento dei fondi elettorali - che il codice fiscale del Partito (sino ad allora inesistente) era in realtà il numero «90024590128», guarda un po’ lo stesso, identico codice fiscale dell’Associazione di «famiglia» utilizzato per incassare i rimborsi elettorali. E così, come scrivevamo il 6 febbraio scorso, finiva in procura la prova documentale dello scippo del codice fiscale di un soggetto giuridico non legittimato a recepire i fondi pubblici (l’Associazione) a un soggetto giuridico che quella legittimazione ce l’avrebbe avuta ma non l’avrebbe potuta esercitare essendo sprovvisto del codice fiscale (il Partito). Ma non a Roma, bensì a Milano. Dove il presidente del tribunale, in persona, sollecitava gli ex colleghi di Tonino ad approfondire le contestazioni evidenziate da Veltri. Il pm Eugenio Fusco, esperto in questioni finanziarie, iscriveva la pratica a modello 44 (notitia criminis infondata). Nemmeno quattro mesi dopo, quella stessa notizia infondata è stata giudicata fondata a Roma che ha iscritto Di Pietro a modello 21.
Dal suo blog Tonino ha diffuso una lunga memoria preannunciando querela all’ex amico Elio. «È sempre la solita storia trita e ritrita - scrive - già più volte si sono espresse le varie procure, archiviando il caso.

Roma non poteva non procedere, anche questa volta, a seguito del solito esposto», ma ancora una volta «porteremo le carte per dimostrare che è tutto in regola, come peraltro hanno accertato ormai da tempo non solo plurime autorità giudiziarie, ma anche, da ultimo, l’Agenzia delle Entrate e gli organi di controllo amministrativi e contabili. Ci vuole pazienza, ci sono persone che non si rassegnano alla propria sconfitta politica e continuano ad infangare gli altri. Male non fare, paura non avere».

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