RomaNessuno tocchi Giorgio Napolitano. Giù le mani dal Colle. Si sigillino sotto naftalina gli attacchi al presidente della Repubblica. Per carità, ne va del futuro dellItalia, minacciata da quel «dittatorello» di Arcore, che potrebbe tenere un busto del Duce accanto al comodino. Antonio Di Pietro lancia un nuovo allarme nazionale in salsa anti-Cavaliere. Fin qui, zero tituli. Ma basta leggere alcune righe delle sue esternazioni di ieri per strabuzzare gli occhi: «Mettiamo da parte ogni critica al capo dello Stato, perché in questo momento cè laberrazione di una situazione in cui lo stato di diritto è in pericolo e vi è un presidente del Consiglio come Berlusconi. Tutto questo ci impone una unità nazionale tra tutte le persone di buona volontà, prima che il fascismo ritorni».
Da quale pulpito. Già, perché non bisogna andare molto indietro nel tempo per mettere uno dietro laltro gli attacchi dellex pm proprio al presidente della Repubblica. Quello che era «poco arbitro e poco terzo», incapace di stoppare, con il suo «silenzio», la deriva berlusconiana in materia di giustizia. Quello che a fine giugno usava «una piuma doca per difendere la Costituzione da un manipolo di golpisti» del Pdl, rei di aver scritto una «legge porcata» sulle intercettazioni. Quello che usava «il guanto di velluto, come con il Lodo Alfano». E ancora, Napolitano, quello che «abdicava al suo ruolo», lo scorso 15 luglio, dando il via libera al provvedimento sulla sicurezza, o lo stesso che, dieci giorni fa, «affermando che non poteva non firmare la legge criminale sullo scudo fiscale, ha compiuto un atto di viltà». Non cè che dire. Tutto prescritto: lobiettivo adesso è fermare Berlusconi, che «si comporta oggi come si comportava ieri Mussolini».
Insomma, anche Di Pietro, che solo due giorni fa, in una nota congiunta con leuroparlamentare Idv Luigi De Magistris, lanciava al capo dello Stato «un nuovo accorato appello», affinché smentisse le «inquietanti ricostruzioni» sulle rassicurazioni date al premier in materia di Lodo Alfano, pubblicate dal Giornale, siscrive ora al «partito del presidente». Una formazione ad ampio spettro e, va detto, perlopiù coerente. E se da una parte spicca la difesa ad oltranza del Carroccio («A me, sinceramente, questo presidente sembra il più super partes degli ultimi che abbiamo avuto», ricorda Roberto Calderoli), dallaltra si sprecano gli aggettivi per difenderlo dal Giornale.
Se si scrive che non partecipa ai funerali di Messina per non incontrare il Cavaliere, apriti cielo. «Attacco vergognoso», sbotta il centrista Pier Ferdinando Casini. Seguono a ruota il democratico Dario Franceschini («attacchi sempre più volgari e inqualificabili») e via via tutti i suoi colleghi pidini. Un asse tra Pd («accuse indegne») e Udc («siamo con lui») che si ripete anche il giorno seguente, domenica, dopo leditoriale di Vittorio Feltri sul «patto tra gentiluomini» in merito allo scudo legale, disatteso dal capo dello Stato.
Ieri, lo stop alle critiche chiesto da Di Pietro. Ma anche il mea culpa di Francesco Storace, per una vicenda di due anni fa, quando giudicò «indegno» il comportamento di Napolitano, intervenuto in difesa di Rita Levi Montalcini, a cui il leader della Destra avrebbe voluto far recapitare delle stampelle.
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