Di Pietro vuole lo scontro: «Non abbocco»

Il leader Idv: «Siamo noi l’unica opposizione. I democratici ci lasciano una prateria di voti»

da [NOTE][/NOTE]Roma

A Di Pietro non pare vero: «I cari amici del Pd ci stanno regalando una prateria di voti, quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi», gongola con i suoi, fregandosi le mani. Poi entra nell’aula di Montecitorio con la faccia delle armi, ansioso di recitare finalmente la sua parte da protagonista: l’Unico Oppositore Vero del Berlusconi Quater. Prende per primo la parola dopo le conclusioni del premier e, ritto davanti al microfono, impugna la sua rutilante sciabola: «Noi - avverte col pluralis maiestatis che si addice alla circostanza, rivolto a Berlusconi - non abbocchiamo. Non intendiamo cadere nella tela del ragno. Abbiamo memoria e non intendiamo perderla. Conosciamo bene la sua storia personale e giudiziaria».
Altro che dialogo e fine della guerra civile strisciante: il Cavaliere resta e deve restare nero, e se il Pd è pronto a cedere alle lusinghe della «dittatura dolce» del nuovo governo, lui no: «Mi opporrò con tutte le mie forze», giura Tonino, perché «ormai all’opposizione sono rimasto solo io», grida, «solo io, a fare da peso e pure da contrappeso», e ad impegnarsi a «disturbare il manovratore», che ormai è «un manovratore a quattro mani». Berlusconi e Veltroni, Veltroni e Berlusconi, che già «parlano a una voce sola», tanto che «in aula non distinguevo Walter da Cicchitto».
Perché «l’inciucio c’è», spiega l’ex pm, e lo dimostra la partita attorno alla presidenza della commissione di Vigilanza. Poltrona che Tonino reclama per il suo fido Leoluca Orlando. Ma che - ironia della sorte - rischia di finire a Beppe Giulietti. Eletto sì con Di Pietro, ma veltroniano di lunga data. L’ipotesi non nasce a sinistra, ma nella maggioranza, ai piani alti di Forza Italia. Dove si sa che il Pd non vuole cedere la poltrona a Di Pietro (anche perché, come ripete Veltroni, «la Rai è il primo banco di prova del dialogo»), ma che si è formalmente impegnato a dargliela. E ora vorrebbe che fosse il Pdl (dai cui voti dipende l’elezione del presidente) a cavargli le castagne dal fuoco, mettendo il veto su Idv e convergendo su uno dei suoi candidati: Melandri, Follini, Vita.

L’elezione di Giulietti sarebbe un doppio dispetto: a Di Pietro («non è lui il nostro candidato, sceglierlo è solo un giochino per dividerci», assicura il capogruppo Idv Donadi), e anche al Pd, che non vuole ritrovarsi appiattito sulle posizioni molto autonome e duramente anti-inciuciste dell’ex capo Usigrai.

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