Unoperazione costruita a tavolino e sostenuta esplicitamente dalla Curia. Unalleanza fra la sinistra extraparlamentare, quella laico-socialista, e una parte dei cattolici. Il tutto fuori dai partiti, anzi «contro i partiti», di cui «Giuliano si è sempre fregato». È lucidissima lanalisi di Franco DAlfonso, assessore al Commercio, anima riformista di Palazzo Marino, uno degli uomini migliori del sindaco. Lucida e sincera. Sarà che le rivelazioni sono state fatte lontane da Milano, nella rilassante occasione della prima Assemblea nazionale del Network per il Socialismo europeo, in riva al placido lago Trasimeno, con una pattuglia di ex socialisti e laici di vaglia, radunati per costruire «idee per lalternativa».
In un quarto dora di intervento, secco e sobrio, come nel suo stile, DAlfonso ricostruisce lavventura che ha portato allelezione del sindaco, sfatando varie leggende metropolitane alimentate dalla propaganda, come quella del grande movimento nato dal basso. E lo fa pescando anche dal libro di Stefano Rolando, «Due arcobaleni nel cielo di Milano». «Loperazione - dice DAlfonso - è assolutamente politica, progettata in qualche modo a tavolino, partendo da alcune ipotesi verificate come vere». Il primo aspetto è la politica, le alleanze: «Unipotesi politica mitterandiana - la chiama così - lalleanza fra due correnti della sinistra, la sinistra fuori dal Pci, diffusa, extraparlamentare, dalla quale Giuliano viene, e quella laico riformista». Ma non è tutto, cè una terza gamba - ricorda: «Una fortissima componente cattolico-liberale, che a Milano esiste, e si è manifestata poi verso la fine della compagna attraverso un appoggio sostanzialmente esplicito venuto dalla Curia e da parte di Tettamanzi, spaccando il mondo cattolico, diviso fra corrente cultura ciellina e cultura, chiamiamola liberale, quella che è intorno alla Cattolica o altro».
Seconda questione è il rapporto con i partiti, che DAlfonso risolve in modo molto netto: il tutto nasce fuori dai partiti, Giuliano «se ne è sempre fregato». «Abbiamo vinto la battaglia interna alla sinistra - ricorda - e dopo non ci siamo fermati, ma nei passaggi successivi si è costruita lalleanza attraverso il Comitato dei 51, con lo schieramento di un pezzo della borghesia milanese, un classico a Milano, prima a certificazione della votabilità, poi ad appoggio di Giuliano, per poi arrivare allultima parte della campagna». È qui, solo alla fine, che entrano in gioco i movimenti, e i giovani: «Alla Stazione Centrale pensavamo di fare un piccolo concerto, e invece arrivarono in 30mila giovani», che - ricorda - «si sono schierati allultimo, non hanno avuto una grossa parte nella conduzione della campagna elettorale, e siamo arrivati al risultato finale». Quindi «unoperazione tutta politica», al termine della quale Pisapia ha ripreso il «filo rosso» che aveva cominciato a tessere con unintuizione: «Come posso vincere? - così DAlfonso riferisce una riflessione del candidato Pisapia - solo riunificando non i partiti, di cui si è bellamente fregato fin dallinizio, ma le culture politiche». «A Milano - ricorda - cera la cultura socialista e dei sindaci socialisti», e lì è scattata la parte finale delloperazione, la scelta «municipalista o federalista».
Ma il tutto - e questo spiega anche le frizioni che si riscontrano oggi in giunta - in modo estraneo a quelli che DAlfonso chiama «i simulacri di partiti», e che «a Milano hanno perso completamente ogni tipo di legame».
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