La pittura del Novecento dove non abita il realismo

Incubi, sogni, visioni e fantasie in un’insolita e affascinante rassegna a Palazzo Loffredo

Un cammino attraverso la pittura del Novecento, fino al Duemila. Un cammino che ha le sue «stazioni» in alcuni artisti riuniti sotto tre aggettivi: «Visionari, primitivi, eccentrici - da Alberto Martini a Licini, Ligabue, Ontani». Questo è il titolo della mostra aperta nella Galleria Civica di Palazzo Loffredo a Potenza fino al 15 gennaio, a cura di Laura Gavioli. Un titolo sintesi di un percorso artistico che ha i suoi precursori in Francisco Goya, presente con i deliranti Capricci, nella natura di Odilon Redon, nel Libro di Giobbe del mistico William Blake, negli incubi di Füssli, nella solitudine di pietra di Max Klinger, in mostra con la bellissima Nuda assorta del 1913, piegata da un dolore incontenibile.
L’evoluzione del fantastico nell’arte del XX secolo è rappresentata nelle opere scelte di ciascun artista. E allora ecco L’autoritratto con l’ombra di Giorgio De Chirico che porta al tema del doppio, l’inquietante Alberto Martini con le presenze femminili evanescenti come fate. E Antonio Ligabue, con lo spaventapasseri scuro alle spalle. Ferruccio Ferrazzi che si dichiara «contro tutta la pittura senza pazzia» e dipinge Orizia agli specchi, una donna ossessivamente circondata dalla propria immagine. Ricerca incessante di sé, scoprendo che «Io è un altro», come scriveva Rimbaud. Lo sa bene Stefano Canepari, che ne I due Arlecchini fa il proprio ritratto e quello del gatto bianconero, e hanno entrambi lo stesso sguardo, simbiotici.
Il Bambino con marionetta del «Doganiere» Rousseau apre la sezione di Primitivismo e Infanzia. È un bimbo con il viso adulto a indicare che in ognuno vive un fanciullo che per tutta la vita muoverà i fili dell’esistenza. La necessità di avere uno sguardo vergine sul mondo fu di Gauguin, di Matisse, di Paul Klee, ma a Potenza troviamo Carlo Carrà. Il suo Fanciullo prodigio è un disegno dalle linee elementari: un bimbo, un sipario e una tromba, «non carne e sangue, ma spirito fatto forma», come lui scriveva. Catturano l’infanzia Felice Casorati con Lionello, paffuto e biondo in calzettoni rossi, Gianfilippo Usellini con il mefistofelico, nitido Gelataio. Il viaggio procede e si incontra la forza del simbolo, il corpo umano o animale e l’idolo. E arriva Arturo Martini con la Trilogia dei re, ieratici senza essere statici, evocatori del medioevo, distinte, piene volumetrie. La signora col crisantemo dipinta da Lorenzo Viani è un’apparizione di morte, le sensuali donne nude Sul terrazzo di Lino Frongia sono attonite e strette l’una all’altra come chi attende lo scatto di una foto o una chiamata improvvisa. Ancorata alla tradizione appare la Madonna con macchina da cucire di Italo Scanga, miscela di concretezza e devozione, scissione all’interno dello stesso Occidente, produttivo e consumista, sospeso tra il denaro e Dio.
Il cammino arriva all’immersione totale nella natura con Ligabue che diventa leopardo, braccato e in fuga, con le nature morte di Savinio e Cagnaccio, con L’estasi di De Chirico e il suo uomo incantato sotto le stelle, e con Gaetano Pompa e il suo Paesaggio a volo d’uccello, elogio del contadino disegnatore e arredatore dei campi.
L’ultima stazione, tocca la città e l’atelier, l’esterno e l’interno.

Un interno intimo dove è custodita la Compunta di Renato Nosek, una fanciulla seduta, a gambe incrociate, troppo piccola per arrivare a terra, con il piede che resta in punta. È nuda, con lo sguardo assente e un ferro da stiro in mano. Un esterno grigio per Mario Sironi e le sue periferie, visioni gelide di città senz’anima.

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