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Pixie Lott: "Il tormentone? Roba del passato"

La diciottenne inglese con il suo primo brano Mama do domina le classifiche europee: "Non siamo più ai tempi di Elvis. Con il web, ciascuno si sceglie il brano che gli piace"

Pixie Lott: "Il tormentone? Roba del passato"

Milano - Figurarsi, lei ne parla come se niente fosse. Il successo? Boh. La gente che ti riconosce per strada? Sì, ma non ci faccio neanche caso. Sarà. Dunque Pixie Lott è candidata a diventare una first lady del pop e mica solo perché il suo brano Mama do (Uh oh, uh oh) si sente ovunque e a qualsiasi ora. Macché, lei ha le caratteristiche decisive nel moderno famosificio: è giovanissima (18 anni), è bella (ma non troppo), non è sguaiata (per fortuna), è inglese (e si vede) e soprattutto ha le idee molto chiare, ma molto davvero. «Dici?». Per di più, ha anche una bella voce, duttile e pastosa e imbevuta di soul, e vedrete che il suo primo cd Turn it up, che esce tra un mese, non sarà la solita infornata di brani usa e getta come richiede il copione del momento. Lei garantisce: «A casa mi hanno insegnato a badare alla sostanza, non soltanto alla forma». E poi rilancia: «La musica è la mia lingua. Piuttosto di dire fesserie, preferisco star zitta». Caspita.

Però, Pixie Lott, lei a maggio non era nessuno. A giugno è uscito il singolo «Mama do» e adesso è quasi una popstar.
«È successo tutto talmente in fretta che manco me ne accorgo».

In Gran Bretagna ha debuttato al primo posto. Da zero a cento in un attimo.
«E dire che tutto è cominciato con una piccola bugia».

Confessi.
«Quando avevo quattordici anni, ho risposto a un annuncio sul giornale The Stage che cercava “la prossima diva pop”. Però l’età minima per partecipare era sedici anni e io ne avevo solo quattordici. Così ho mentito. Anzi l’ho fatto due volte».

Addirittura.
«Quella mattina ero a scuola. Così, per poter partecipare al provino, ho detto al professore che dovevo andare dal dentista perché avevo un gran mal di denti».

En plein.
«Lì ho trovato il mio manager e adesso eccomi qui».

Il soprannome Pixie gliel’ha scelto lui?
«No, io mi chiamo Victoria ma mia mamma usa Pixie da quando sono bambina perché, dice lei, ero dolce e carina».

Lo era davvero?
«Per me l’educazione è importante: e se vuoi essere rispettata dalla gente, devi iniziare a rispettarla tu per prima».

Dai Jonas Brothers a Miley Cyrus, i cantanti di nuova generazione sono tutti educati come collegiali.
Sì, i Jonas Brothers sono bravi ragazzi e mi piacciono perché si capisce che sono sinceri. D’altronde guarda che successo hanno le loro canzoni».

Anche «Mama do» è un tormentone.
«No, i tormentoni non esistono quasi più. Una volta, ai tempi dei miei genitori, c’era molta meno scelta e a furia di ascoltarla alla radio, una canzone diventava tormentone quasi per esasperazione».

Adesso?
«Adesso con il download, ciascuno può scegliersi il brano che vuole e i gusti, si sa, sono infiniti. Non siamo più ai tempi di Elvis Presley e neppure a quelli di Madonna».

Madonna era già una diva quando lei è nata, nel 1991.
«Bravissima, ma non l’ho mai ascoltata molto. Io ero una bambina timida ed educata, non mi attirava essere trasgressiva».

Tanto per capirci, qual è stato il primo disco che ha comprato?
«Quello delle Spice Girls».

Allegria.
«Ma subito dopo mi sono innamorata di altra musica, dai Jackson 5 fino a Stevie Wonder passando per Aretha Franklin. E stravedo per Mariah Carey».

Mariah Carey è bulimica di successo. Vive nella dimensione parallela del lusso e dei vezzi.
«Proprio per questo mia mamma passa le giornate a dirmi di stare attenta a ciò che mi accade intorno, a non farmi prendere troppo dall’euforia e a non montarmi la testa».

Ma a diciott’anni le mamme spesso si ascoltano poco. Non le impone di iscriversi all’Università?
«Sì, ma mi sa che ormai sono troppo impegnata per farlo».

Vede? Non la ascolta.


«Però a consigliarmi ci sono anche i miei fratelli: a loro non posso dire di no, altrimenti poi chi li sente? Sono i miei guardiani, specialmente ora che inizio a toccare con mano che cosa significhi realmente diventare famosi».

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