Il pm-imprenditore sfratta il socio dalla masseria

nostro inviato a Bisceglie (Bat)

Il gioco delle tre carte, una masseria «contesa», un pm-imprenditore e un imprenditore vero che, con quel magistrato, adesso ritiene di avere un conto aperto. Questa storia paradossale ha per teatro la Puglia, e si dipana tra gli ulivi delle campagne di Bisceglie, comune a mezza via tra Bari e Barletta. Al centro di tutto una antica dimora, la masseria San Felice. Su quell’immobile, all’epoca semiabbandonato, nel 2005 mette gli occhi Antonio Savasta, pm della procura di Trani, famoso tra l’altro per aver indagato (e poi archiviato) l’ex governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, per l’inchiesta sulla Banca 121.
Nell’estate 2005, il pm decide di acquistare la struttura, in società con un suo amico dell’epoca, barlettano come lui, Giuseppe Dimiccoli, imprenditore dell’abbigliamento, che, sei anni più tardi, ha scritto al Giornale per raccontare la vicenda.
Nell’atto di compravendita del 12 agosto 2005 l’immobile è però intestato solo a Savasta. Questo perché, racconta Dimiccoli, il pm non aveva appartamenti di proprietà, e avrebbe proposto al socio di intestarsi la masseria per sfruttare le agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa. Come garanzia per la quota per la quale Dimiccoli e la moglie avevano già versato 200mila euro (ma l’imprenditore sostiene di aver pagato altri 180mila euro per un’altra quota, senza però aver chiesto ricevute del versamento all’amico in toga), Savasta offre una scrittura privata con cui si obbliga alla vendita. È scritta a mano dal pm su carta intestata della procura di Trani, e Savasta si impegna «a trasferire in via esclusiva e in piena proprietà una porzione ristrutturata di detti fabbricati in favore» della moglie di Dimiccoli, fissando il prezzo in «230mila euro di cui 201.500 già corrisposti». Proprio dalla scrittura privata, emerge l’ipotesi di dedicare la masseria «ad attività economiche e lucrative», affidandola a un gestore esterno. La masseria dunque passa al pm Savasta, ma la scrittura privata sembra assicurare a Dimiccoli e alla moglie una porzione dell’immobile. La coppia partecipa alla ristrutturazione, arreda la propria porzione (Dimiccoli ha bolle e fatture di mobili e materiali edili acquistati per la struttura) e vi trascorre diversi fine settimana, oltre a utilizzarla come set fotografico per le collezioni di moda dell’imprenditore. Ma non tutto fila liscio. Dimiccoli entra in contrasto con il pm e con suo fratello. Oggetto del contendere, proprio le «attività lucrative», secondo l’imprenditore poco trasparenti. Dimiccoli riferisce infatti di serate a pagamento ed eventi organizzati senza autorizzazioni di sorta, e nonostante l’immobile non avesse allacciamento idrico e fognario. Gli attriti con i familiari del magistrato deflagrano a gennaio del 2010, quando l’imprenditore scrive al pm per manifestare «dissenso alla prosecuzione delle attività lucrative», e per chiedere la «rendicontazione della gestione», poiché Dimiccoli pensava di aver versato più soldi «di quelli effettivamente necessari». L’imprenditore barlettano chiede al magistrato anche «copia dei contratti stipulati con terzi senza il mio consenso». La missiva segna la rottura nei rapporti tra i due. Savasta un mese dopo risponde, e sostiene che non è possibile una «concordata risoluzione della controversia». Nonostante la scrittura privata, il pm lamenta la «reiterata opposizione» dell’ex amico a pagare «il maggior valore reale dell’immobile» per ottenerne il trasferimento, e derubrica il pagamento della quota di proprietà a semplice «prestito», offrendosi al massimo di restituire soldi e interessi legali. L’ipotesi-prestito, anche se fosse vera, qualche dubbio di opportunità lo pone: è normale che un pm, invece di rivolgersi a una banca, chieda soldi a un imprenditore, ancorché amico, attivo proprio nel distretto nel quale lo stesso magistrato opera?
Di certo, nel 2010 l’amicizia è svanita. A marzo di un anno fa Savasta offre, via ufficiale giudiziario, di restituire la somma del «prestito», allegando all’offerta reale assegni per 240mila euro. I Dimiccoli rifiutano, poi l’imprenditore scopre che pm e familiari hanno cambiato la serratura della masseria. La querelle sbarca in tribunale. L’imprenditore si affida a un avvocato, Pasquale Nasca, e fa partire raffiche di denunce. Si aprono a Lecce, distretto competente essendo coinvolto un magistrato di Trani, tre cause civili e una penale, innescata da una querela di Dimiccoli e affidata al pm Giovanni De Palma. Viene fuori un’altra sorpresa, di certo legittima, ma anche questa singolare: Savasta non è più proprietario dell’immobile. Ha infatti donato tutto, ad agosto del 2009 e a gennaio del 2010, al fratello, Francesco, e alla sorella, Emilia, con lei mantenendo l’usufrutto a vita.
Ma mentre la controversia tra i due va avanti nelle aule di giustizia, nella masseria fervono attività che fanno storcere il naso a Dimiccoli. Negli atti di donazione, Savasta mette nero su bianco di aver effettuato solo «lavori di manutenzione straordinaria e ordinaria con attribuzione di destinazione d’uso all’immobile relativa a prestazioni di servizi al turismo, attività di supporto e accoglienza», giustificati da una «Dia», la Dichiarazione di inizio attività, di marzo 2008. Il certificato di conformità edilizia è firmato dall’ingegnere Antonio Recchia, che è anche consulente tecnico della procura di Trani e che, come tale, ha lavorato con Savasta. Ma la masseria vanta tra l’altro una bella piscina, che secondo Dimiccoli non sarebbe stato possibile piazzare nel giardino senza un diverso «permesso a costruire», che all’imprenditore non risulta mai richiesto. E sempre Dimiccoli sottolinea come, durante il restauro, sarebbero state rialzate alcune strutture. Anche da quando l’imprenditore è stato estromesso dalla proprietà, a suo dire, sarebbero aumentate le cubature.

Una costruzione di 200 metri quadri con tetto spiovente è apparsa nel giardino alle spalle del corpo principale, e addossata al muro di cinta c’è un’altro corpo di fabbrica in costruzione. Tutto in regola? Dimiccoli e il suo avvocato a inizio marzo hanno chiesto al comune di Bisceglie l’accesso agli atti. Attendono ancora risposta.

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