Alessandra Miccinesi
Sì, daccordo, cè il nome (e che nome, Sabrina Ferilli) sdraiato sul titolo (La Presidentessa), che tradotto dal gergo teatrale vuol dire: garanzia sugli incassi. Ma per il capocomico Gigi Proietti, adattatore del testo nonché regista della pochade francese scritta nel 1912 da Charles Maurice Hennequin e Pierre Veber in scena al Brancaccio dal 15 dicembre al 29 gennaio, il nome della Ferilli sul manifesto rappresenta molto più del generoso décolleté. «Erano anni che io e Sabrina volevamo lavorare insieme. Quando un anno fa proposi la Presidentessa, offrendole il ruolo della chantosa Gobette, divetta del varietà dellepoca giolittiana bella e sfrontata a cui piacciono gli uomini in maniera pesante, ecco, maspettavo un secco rifiuto e invece...». Per supportare la messa in scena di un testo di genere dai ritmi vertiginosi, in cui ogni attore per tre ore sulla scena deve essere il regista di se stesso, Proietti ha dovuto mettere insieme una squadra di livello. Nel cast, oltre alla Ferilli, ad animare questa succulenta pochade che nel 52 Pietro Germi portò sul grande schermo con i volti di Silvana Pampanini, Carlo Dapporto ed Ernesto Calindri - remake di Luciano Salce nel 77 con Mariangela Melato, Johnny Dorelli e Gianrico Tedeschi - ci pensano tra gli altri Maurizio Micheli, Virgilio Zernitz, Paila Pavese, Susanna Proietti e Daniela Terreri.
Niente comicità sbracata né battute volgari né satira televisiva usa e getta. «È teatro di livello, speriamo solo che il pubblico apprezzi lo sforzo», dice Proietti, impegnato in maniera robusta anche dal punto di vista produttivo. Le carte perché lo spettacolo abbia successo ci sono: la vicenda (storia di una spregiudicata ballerina-cantante, che allontanata su decreto ministeriale si rifugia in casa del magistrato e viene scambiata per sua moglie) parte da una cittadina del profondo sud per deflagrare, grazie al perfetto meccanismo comico, al ministero della Giustizia di Roma.
Ogni riferimento a persone e/o ministri attuali è puramente casuale. «Facciamo qualche piccola allusione ai politici di oggi, niente di più - gigioneggia Proietti, che ha adottato lespediente dialettale (il meridionale per il ministro-Micheli, litalo-francese sporcato da sfondoni per la chantosa-Ferilli) per dribblare il manierismo del linguaggio - del resto ogni pochade è una satira contro il potere».
Reduce dagli ultimi tre film realizzati per la tivù, ma soprattutto forte della sua esperienza nella commedia musicale (Rugantino, Allelujah brava gente, e Un paio dali), la Sabrina nazionale ha pensato di rimettersi in gioco partendo dal teatro comico. Unautentica novità per lei.
«Avevo voglia di fare qualcosa di divertente. Lavorare con Gigi per me è un traguardo - sorride solare la Ferilli -. Nonostante sia stata supportata dalla regia e aiutata dalla mia indole brillante, però, questo è il copione più faticoso col quale mi sia confrontata. E conferma la mia tesi riguardo i testi brillanti: necessitano più preparazione della prosa. Cosa mi aspetto da questa nuova esperienza? Il piacere di fare teatro, di misurarmi con la comicità che è una corda nuova per me.
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