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Pochi 12 ministeri Il Cavaliere al Colle

Berlusconi: "Giorni di afflizione, tutti avanzano richieste". Napolitano disponibile allo "spacchettamento". Governo, per la Giustizia spunta Vito

Pochi 12 ministeri 
Il Cavaliere al Colle

Roma - Un colloquio di circa un’ora in un clima «disteso» e «cordiale». Per la prima volta dopo il voto, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano s’incontrano per uno «scambio di vedute generale», seppure in via del tutto informale. L’incarico al Cavaliere, infatti, potrà essere conferito solo dopo la formazione dei gruppi parlamentari e l’elezione dei presidenti di Camera e Senato (il 30 aprile), quando il Colle avrà gli interlocutori istituzionali per avviare le consultazioni.

Al Quirinale, però, Berlusconi e Gianni Letta iniziano ad affrontare alcune delle questioni sul tavolo. Tra cui anche la difficoltà di contenere il numero dei ministeri. Più volte, infatti, durante la giornata passata tra incontri e telefonate a Palazzo Grazioli il Cavaliere ha ripetuto ai suoi interlocutori di essere «stretto». Nel senso che, come sempre accade nei giorni che precedono la formazione di un governo, «tutti avanzano richieste». «Questi - spiega - sono giorni di afflizione perché si accontenta una persona e se ne scontentano tante altre». E del problema Berlusconi ha voluto mettere a conoscenza il Quirinale. Napolitano, d’altra parte, solo due anni fa ha vissuto una situazione molto simile con Romano Prodi che a fine mandato è arrivato a toccare quota 102 tra ministri, viceministri e sottosegretari. Un record cui il Cavaliere non ha alcuna intenzione nemmeno di avvicinarsi, visto che sul tetto complessivo di sessanta non sembra intenzionato a fare deroghe. Il punto, però, sarebbero i ministeri con portafoglio che secondo la Bassanini dovrebbero essere dodici. Allo studio, infatti, c’è l’ipotesi di spacchettare qualche dicastero, come per esempio Welfare e Salute. Sul punto, però, pur prendendo atto delle «comprensibili difficoltà», Napolitano sarebbe stato chiaro: no al proliferare dei ministeri. Senza escludere però la possibilità che - fatto il giuramento con soli dodici ministri con portafoglio più altri senza - si possa poi procedere a qualche spacchettamento come già fece Prodi.

Di nomi, invece, al Quirinale se ne sarebbero fatti pochi: Giulio Tremonti all’Economia, Franco Frattini agli Esteri, Roberto Maroni all’Interno e Ignazio La Russa alla Difesa. Mentre sulle altre caselle la partita sembra piuttosto aperta. In particolare sulla Giustizia, dove al di là dei nomi circolati (in salita Elio Vito) il Cavaliere pare accarezzi ancora l’idea di un possibile ritorno di Roberto Castelli che a via Arenula è già stato per cinque anni. Il che, ovviamente, spariglierebbe le carte sul fronte leghista riaprendo i giochi per il Viminale. D’altra parte, in molti nel centrodestra - e pure Francesco Cossiga durante la cena di martedì sera - hanno fatto presente a Berlusconi l’opportunità di non lasciare al Carroccio un dicastero tanto strategico. La questione dei vicepremier, invece, non sarebbe stata affrontata. Anche se le quotazioni di Roberto Calderoli sembrano essere in discesa. Non certo perché il Quirinale faccia problemi (Umberto Bossi e Napolitano hanno avuto una lunga telefonata giovedì scorso), né perché Berlusconi sia contrario (anche se «il linguaggio della Lega dovrebbe cambiare» perché «è fatto di iperboli» ed è «po’ rozzo»), quanto perché la nomina di Gianni Letta rischierebbe di essere depotenziata, aprendo magari le porte anche a una richiesta analoga da parte di An. Alla fine, insomma, il vicepremier dovrebbe essere solo uno, Letta, in modo che possa farsi carico con ampie deleghe della gestione del governo.

Accompagnato proprio da Letta, il Cavaliere ha comunque fatto presente a Napolitano l’intenzione di «stringere» al massimo i tempi. I problemi, insomma, «saranno superati» e «il governo sarà presto operativo».

Tanto che Cossiga è già al lavoro per organizzare un incontro ufficiale in Vaticano tra Berlusconi e Benedetto XVI.

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