Presento qui, con colpevole ritardo, un libretto uscito lo scorso anno. Chiedo scusa anche dellincursione che compirò in un terreno che altri, ben più titolati di me, presidiano con successo: quello della poesia.
Il fatto è che la lettura di questo esile volume dalla veste gialla vale davvero, e la segnalazione è un dovere. Sintitola Uscendo (ed. LObliquo, pagg. 70, euro 11) e il suo autore è un poeta veronese di trentotto anni, Paolo Campoccia.
Cè sempre, nelle poesie di Campoccia, un luogo come un campo aperto, dove i corpi e le azioni acquistano senso. È una sorta di semi-infinito, con confini interni ma non esterni. Può essere cielo o mare, ma è soprattutto lo spazio aperto della parola. Lesistenza umana si gioca su quel limite ben più che nella scommessa del progresso (anche spirituale).
Ricorrono di continuo, in Campoccia, espressioni nelle quali il cuore umano chiarisce il senso del proprio cammino in una sorta di parentesi, che passa tra cuore e azione. «Camminiamo là/ dove il cuore non ha passi,/ ma chiari tremori». O ancora: «Più importante però dellavvenire/ delle primavere/ è la fissità del mare a lungo/ infuso nel silenzio: la parola che viene/ a destinarti a un dato tempo, calma,/ ma già libera nellonda/ di uomini allorizzonte che non vedi».
Questa è la poesia: una «parola che viene (da altrove, non da noi) a destinarti (a rivestirti di destino) a un dato tempo (radicando, a un tempo, il tuo destino nel tempo e nello spazio)».
Questo è il nostro essere creature: posti dallinfinito dentro il finito. Di qui le immagini, ricorrenti nel libro, dei campi aperti: aperti non per andare verso lignoto, ma aperti dallignoto stesso, che viene nella nostra direzione.
A pagina 52 cè poi una poesia, Una notte distanti, che non è solo la più bella del libro, ma probabilmente una delle più belle poesie scritte in Italia negli ultimi anni. È una commovente poesia damore, dedicata alla moglie Loredana (Lolò) in un momento di sofferenza.
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