I poeti hanno sempre fatto paura ai regimi illiberali, ma è scandaloso cosa sia accaduto negli ultimi giorni in Cina e in Arabia Saudita. Un dissidente cinese è stato condannato a sette anni per i suoi versi che inneggiano al cambiamento. Un giovane poeta saudita che si è premesso di criticare Maometto, in occasione del compleanno del profeta, rischia la pena di morte.
Il 10 febbraio è trapelata la notizia della condanna di Zhu Yufu, un dissidente che era già stato sbattuto in galera per le sue idee. L'accusa è di «incitare alla sovversione antistatale». Non a raffiche di mitragliatrice, ma con le parole in versi e l'uso di internet. Zhu è stato ritenuto colpevole per aver scritto una poesia: «Popolo cinese è arrivato il momento. La piazza appartiene a tutti ed i piedi sono vostri. È il momento di usarli e di scendere in piazza per prendere una decisione». Il pubblico ministero ha letto in aula i versi incriminati ed i relativi messaggi inviati dal dissidente via Skype. La corte del popolo di Hangzhou ha condannato il dissidente a sette anni di carcere.
Il destino di Zhu si è casualmente incrociato con quello di Hamza Kashgari, un poeta saudita. Agli inizi di febbraio il 23enne ha avuto la pessima idea di rivolgersi idealmente a Maometto via Twitter: «Nel giorno del tuo compleanno (ti dico) che ho amato tante cose di te e che ne ho odiate altre, ma ce ne sono tante che non capisco: non pregherò per te». Parole assolutamente innocenti in qualsiasi Paese normale, ma nella culla dell'Islam i «cinguettii» di Kashgari hanno scatenato la caccia alle streghe. In un solo giorno il giovane poeta ha ricevuto 30mila risposte, in gran parte indignate. I tweet sono stati rimossi e l'autore ha chiesto scusa, ma è servito a poco. Su Facebook è nato un gruppo con 21mila adesioni, che chiede la condanna a morte dell'incauto giovane. Kashgari è scappato in Malesia, ma lo stesso monarca saudita ha chiesto la sua cattura. Domenica scorsa il poeta è stato rispedito in patria, dove rischia la pena di morte.
Negli ultimi dieci anni uno dei casi più eclatanti è stato quello di Orhan Pamuk, il famoso scrittore incriminato nel 2005 per le dichiarazioni sulle responsabilità turche nel genocidio degli armeni. Le accuse sono state poi ritirate e nel 2006 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura. Un anno dopo è stato minacciato di morte e ha lasciato temporaneamente la Turchia. In Afghanistan il giornalista Sayed Pervez Kambaksh era stato condannato a morte nel 2008 per blasfemia, colpevole di aver criticato Maometto. Un anno dopo il presidente afghano, Hamid Karzai, lo ha graziato, ma il giornalista ha dovuto lasciare per sempre l'Afghanistan.
A Cuba, Moisés Ruiz Hernández è un prigioniero di coscienza fin dal 2003. Condannato a 18 anni di prigione, le sue poesie sono state pubblicate nell'antologia «Versi tra le sbarre». Il poeta tunisino Mohamed Sgaier Awlad Ahmad, perseguitato dal precedente regime, ha cavalcato con i suoi poemi la rivoluzione dei gelsomini.
Un anno dopo il «poeta della rivoluzione» dice del nuovo corso: «Ho combattuto e combatterò con la poesia, un linguaggio creatore che fa paura al potere, contro chi confonde la religione con la politica e parla ai cittadini con le parole dei profeti».www.faustobiloslavo.eu
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