La polemica Meno male che Iva c’è

La polemica  Meno male che Iva c’è

Fra le tante cose che abbiamo sentito in questi giorni, nelle polemiche post-elettorali del Pdl, ci sono l’uso del termine «fisioterapista» e di quello «cantante», in senso diminutivo, quasi spregiativo. Soprattutto, se rapportato ai professori universitari.
Ora - a parte il fatto che mi sembra che il curriculum di Licia Ronzulli non sia proprio quello della fisioterapista e quello di Iva Zanicchi non sia proprio quello della cantante e basta - credo che, se anche fosse così, non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi. Che, se un partito porta in Parlamento gente del popolo, gente di ogni strato sociale, gente di ogni cultura, gente di ogni professione, c’è solo un arricchimento, non certo un impoverimento del Parlamento stesso. E, comunque, non mi pare che la storia dei professori universitari applicati alla politica, da sempre, da Pericu in giù, anche alle nostre latitudini, abbia dato risultati così straordinari. Anzi.
Basta dare un’occhiata al passato e al presente per auspicare fisioterapisti e cantanti. Di più: a proposito di cantanti, non credo che a Gino Paoli - ex parlamentare del Pci, amico da sempre di Susy De Martini e scelto da Enrico Musso come direttore artistico del Comune di Genova lo scorso anno qualora avesse vinto le elezioni - farebbe piacere essere identificato nella categoria dei «cantanti» con tutti i sottintesi del caso.
Ma, in particolare, vorrei soffermarmi su Iva Zanicchi. Ho sentito molte persone, in qualche caso anche gente che stimo, storcere il naso di fronte al suo nome e alla sua elezione. Come se ci trovassimo di fronte a un modello sub-umano elevato al rango di parlamentare europeo. Vuoi mettere con gli intellettuali di sinistra? Vuoi mettere con alcuni parlamentari di tutti gli schieramenti? Vuoi mettere con i professori?
Ecco, io, invece, penso l’esatto contrario. Penso meno male che Iva c’è. E lo dico guardando i voti di ogni città, di ogni paese, di ogni frazione, di ogni sezione. Non ce n’è una, dico una, dove Iva, l’Ivona nazionale, non abbia preso una, dieci, cento, preferenze. Spalmate ovunque: nei quartieri in e nelle peggiori periferie, sulle coste e in cima alle montagne. Quasi una perfetta fotografia dell’Italia più vera, la più bella.
E confesso che quei voti mi hanno fatto particolarmente piacere perchè Iva se li merita tutti. Non solo in quanto europarlamentare uscente, arrivata ad un passo dall’elezione cinque anni fa, nonostante non godesse di nessun appoggio da parte delle strutture ufficiali di Forza Italia. Prima proclamata eletta e poi superata sul filo di lana e dei riconteggi da Jas Gawronski, che pure avrebbe potuto riservarle un goccio in più della sua nota signorilità, chiamandola. Infine, diventata «onorevole Zanicchi» grazie al gioco delle dimissioni e dei subentri.
Credo che nessuno si meriti quel seggio più di Iva. E sapete perchè? Perchè penso che la riscossa di Silvio Berlusconi e dei moderati sia iniziata proprio il giorno in cui lei - da Santoro, non in un’arena facile, non con domande addomesticate - disse: «Io voto Berlusconi, lasciamolo provare. E se poi non fa bene, fra cinque anni gli diamo un calcio nel sedere e lo mandiamo a casa».

Lo disse in tempi non sospetti, quando Silvio perdeva, non dopo che l’aria è cambiata.
Poi, qualcuno penserà che l’Aquila di Ligonchio vola basso. A me, in questi giorni, sembrano parole e comportamenti altissimi. E sono felice che Iva sia di nuovo eurodeputata. Onorevole di nome e di fatto.

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