di Tony Damascelli
Giochi dellOlimpiade.In verità cè poco, pochissimo da giocare. La barba di Cacciari, la bazza di Alemanno, sindaci distanti, per geografia e ideologia, uniti soltanto per le fotografie di repertorio, separati in casa Coni, i dossier sono sul tavolo, Roma o Venezia, sembra che qui si decida il futuro, non di una medaglia ma di una città, di un Paese intero, di un popolo. LItalia si desta per lo sport, stavolta non cè il solito pallone avvelenato e velenoso, lo spirito olimpico recita unaltra volta la sua furba parte, buona, sana e romantica. In verità dietro il fuoco sacro restano le ceneri di edifici, stadi, impianti, strade, alberghi, progetti di allegria naufragati nel solito casino italiano.
Torino è stata lultima stazione dei giochi, quelli invernali. Fu loccasione per riverniciare la città, per illuminarla e renderla internazionale, gli spot propagandistici sul riutilizzo degli impianti, sullammortamento dei costi, sul benessere e i benefici che avrebbero ricevuto i cittadini torinesi, sono coriandoli bagnati, manifesti elettorali smascherati dalla realtà tenuta nascosta a lungo dalle solite belle gioie piemontesi. Conti in rosso, battaglie politiche, dimissioni, promesse mai mantenute, impianti già cadenti, soltanto due anni dopo levento, si chiamava Toroc e non si ha nostalgia di nulla, piuttosto rabbia per il tempo e i soldi sprecati. Roma si scalda appena alla memoria del favoloso anno sessanta, era unaltra Italia, quella del boom, era unaltra Olimpiade, quella di Berruti e di Marcellus Cassius Clay non ancora Alì. Venezia non si accontenta di essere Venezia, unica, irripetibile, non le basta la storia, vuole la cronaca. Entra in conflitto con Roma, come per il festival del cinema, sfilano sul tappeto rosso dello sport alla ricerca di una visibilità che esiste da sempre, è storica, indistruttibile nonostante le macerie provocate dallincuria degli stessi che si battono adesso per i Giochi sportivi. Venezia e Roma non abbisognano di richiamo turistico, non serve il tom tom olimpico per presentarsi e rappresentarsi al mondo, eppure il richiamo del business scalda cuori e cervelli, muove fazioni politiche mentre il resto della popolazione sbuffa, avendo altri guai per la capa. Vengono annunciati budget ultramiliardari, non sono bastati gli scandali e i malaffari di questi tempi, non sono bastate le fotografie malinconiche di altri appuntamenti sportivi, meglio sarebbe il basso profilo, meglio le mezze luci, meglio sarebbe affrontare le priorità che non sono quelle dei Giochi ma che i Giochi potrebbero aiutare a risolvere, con il solito alibi dellinteresse nazionale, del tutti per uno e uno per tutti, scoprendo alla fine che uno è sempre lo stesso. LOlimpiade non è il campionato del mondo, o dEuropa, del calcio. Questi coinvolgono lintero paese perché lorganizzazione può spalmare su varie città, dodici nel caso delledizione di Italia 90, levento, addirittura può distribuirlo su due nazioni, accadrà nel 2012 tra Polonia e Ucraina così come è accaduto con Olanda e Belgio o Austria e Svizzera, lo sport per riunire e non per dividere. Ma così non accade con lOlimpiade che va assegnata a un solo sito, anche se poi, la regola viene smentita dalla distanza che separa alcune sedi di gara.
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