
Gli ultimi dati di Banca d’Italia e Istat sugli sportelli bancari sono chiari: la desertificazione bancaria avanza senza sosta. Nei primi sei mesi del 2025 le banche italiane hanno chiuso 261 sportelli, un calo dell’1,3% rispetto alla fine del 2024. Il secondo trimestre ha segnato un’accelerazione rispetto al primo, quando le chiusure erano state 95. Chi vive nelle grandi città se ne accorge facilmente. Ogni 2-3 mesi quella filiale chiude, quell’altra non c’è più e nemmeno si ricorda da quanto tempo. Ancora peggio va per chi vive nei comuni più piccoli. L’ultimo Osservatorio sulla desertificazione bancaria della Fondazione Fiba di First Cisl, sindacato di categoria, ha certificato che nei soli primi sei mesi del 2025 altri 34 comuni sono rimasti senza nemmeno una filiale. Ora sono 3.415, pari al 43,2% del totale, con oltre 4,7 milioni di residenti. A questo ritmo la soglia del 50% si avvicina rapidamente. Friuli Venezia Giulia, Marche, Sicilia, Veneto e Basilicata sono le regioni più colpite. Ma a turno la questione riguarda tutti, persino la Lombardia che registra un calo poco inferiore alla media nazionale (-1,1%).
Il tema comporta conseguenze economiche, finanziarie e sociali. Le prime due riguardano la capacità di imprese e famiglie di adattarsi alle nuove tecnologie, che permettono di dialogare con la banca stando a casa, tramite Web e App. Purtroppo, in un Paese sempre meno giovane come l’Italia, questo passaggio è più complesso di quanto non sembri. Al momento 4,7 milioni di italiani (in crescita dell’1,8% nel semestre) vivono in comuni totalmente desertificati, mentre altri 6,5 milioni hanno nel proprio comune un solo sportello aperto. Il fenomeno è analogo per le imprese.
Posto che non si può fermare il progresso, e che l’impresa privata è libera di gestire le proprie risorse come meglio crede, la questione non può essere ignorata dalla politica. Soprattutto per le sue implicazioni sociali. Lo sportello bancario ha sempre contribuito a rendere vive le città, grandi e piccole. Un po’ come lo hanno sempre fatto anche gli esercizi commerciali, anch’essi colpiti dallo stesso fenomeno della desertificazione. Sono 118mila i negozi chiusi nei nostri Comuni tra il 2012 e il 2024. Già oggi, in molte zone dei centri abitati, intere strade un tempo vive di giorno e luminose di notte sono diventati cimiteri di serrande abbassate e luoghi poco invitanti nelle ore di buio. Che ciò contribuisca a rendere meno sicuri paesi e città è scontato.
Per questo servono idee e progetti.
Come quello di Cities, elaborato da Confcommercio. Che prevede cinque zone di intervento:- La rigenerazione dello spazio pubblico e dei quartieri, da attuale con il coinvolgimento delle economie di prossimità e delle loro rappresentanze per promuovere un’identità di quartiere.
- Mobilità e logistica sostenibili, attraverso l’integrazione di trasporti, urbanistica ed economia locale.
- Patti locali per la riapertura dei locali sfitti: si propone di attivare accordi tra Comuni, associazioni e proprietari per agevolare la definizione formale di canoni di locazione calmierati rendendo accessibili i locali anche alle imprese nascenti o in difficoltà.
- Gestione partecipata e collettiva delle città, da ottenere attraverso una sensibilizzazione dei giovani rispetto alla cosa pubblica.
- Favorire l’utilizzo digitale nelle politiche per il commercio locale: qualunque negozio fisico può diventare anche un mini Amazon e per questo deve poter avere incentivi se intende digitalizzare la propria attività per tenere in vita entrambe le modalità.
Come sempre, da un problema può generarsi un’opportunità. Ma solo a condizione che la politica se ne occupi seriamente. Facendo solo, in fin dei conti, il proprio mestiere.