Appena tre anni fa Mps era una banca se non proprio defunta, per lo meno in terapia intensiva. Il ministero dell'Economia, guidato da Giancarlo Giorgetti (in foto), ha scelto l'attuale amministratore delegato Luigi Lovaglio e creduto in una visione a lunga scadenza. Il Tesoro, che allora aveva oltre il 64% del capitale, partecipò con 1,6 miliardi di euro a coprire l'aumento di capitale da 2,5 miliardi necessario per realizzare un piano industriale che puntava a riportare la più antica banca d'Italia a risorgere dall'oltretomba. Non tutti ci credevano, forse memori di un passato disastroso al quale la politica di sinistra aveva dato un solido contributo. A partire dall'amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, che pure nel 2021 il Montepaschi lo ha trattato, rifiutando di prenderlo in carico anche a fronte di una dote miliardaria. Con il senno di poi sono tutti bravi, ma certamente quella scelta non pagò per Unicredit che anni dopo si è trovata a fare i conti con paletti golden power molto rigidi che le sono costati l'addio alla scalata al Banco Bpm.
Ebbene, il Mef di Giorgetti su Mps ha investito soldi veri e ha avuto ragione. Certo, i rialzi dei tassi d'interesse della Banca centrale europea hanno aiutato Lovaglio nell'attuazione dei suoi progetti, ma si sa che la fortuna aiuta gli audaci. E l'Mps di oggi è sicuramente audace, non fosse altro perché è riuscita a fare di più e meglio di altri competitor. È tornata a macinare utili: 41 milioni nel 2022, circa 2 miliardi nel 2023 e altri 2 nel 2024. Quest'anno ha fatto 1,4 miliardi nei primi nove mesi, proprio quando la spinta dei tassi d'interesse è iniziata a venire meno per tutto il settore. Ha ripreso a distribuire dividendi agli azionisti. E ha concluso con successo, con un'adesione plebiscitaria del mercato che le ha consegnato l'86,3% delle azioni, una scalata a Mediobanca sulla quale all'inizio molti ironizzavano. Come poteva Mps - che in virtù del suo passato lavorava con lo stigma della malagestione e dei conti disastrati - non solo ambire ad acquisire un istituto più grande, ma anche riuscire a dare scacco matto a uno degli storici centri nevralgici della finanza italiana? Ebbene, l'operazione è riuscita brillantemente e contro ogni pronostico.
L'inchiesta della Procura di Milano arriva come un maglio dopo un percorso di questo tipo, farà il suo corso e nessuno può dire in anticipo come andrà a finire. Ma mentre le accuse formulate dai pm verso l'ad di Mps e imprenditori privati che hanno creduto nel nuovo corso - il numero uno di Delfin Francesco Milleri e l'imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone - dovranno essere provate, tutto il resto è già fin da ora un dato di fatto.
Il rilancio di Mps rimane una delle più riuscite operazioni di sistema degli ultimi anni con il nuovo gruppo Mps-Mediobanca che non solo non è più un punto di debolezza dell'economia italiana, ma un asset fondamentale del Paese che avrà una presa solida anche su un altro totem della nostra finanza come Generali.
Per una volta, è stato anche un affare per i contribuenti con il Tesoro che ha incassato 2,7 miliardi dalle varie dismissioni (senza contare i dividendi) rientrando degli 1,6 miliardi investiti grazie all'esplosione del valore del titolo passato in tre anni da 2 a oltre 8 euro. Sarà difficile recuperare tutti i 12 miliardi iniettati in Mps dal 2012, ma ora il vento è cambiato.