
Due equivoci stravolgono oggi la discussione intorno al Medioriente, Israele e la guerra di Gaza. Il primo riguarda l'atteggiamento di Trump verso Israele e in particolare verso Netanyahu, descritto ormai spesso come un innamorato abbandonato. Invece c'è solo uno scenario nuovo: Israele conferma una funzione basilare nella stravagante politica Maga in Medioriente, ma per capirla bisogna scavalcare la traversata scenografica e ondivaga del presidente da Riad a Doha ad Abu Dabi, lasciare da parte l'impressione nel sentire chiamare l'ex terrorista al Shaara «un affascinante giovane», ed esclamare che Bin Salman «gli piace troppo» mentre firma un accordo di miliardi (142 per la vendita di armi, fra gli altri). Si, i suoi uomini hanno parlato direttamente con Hamas per liberare il rapito americano Idan Alexander, gli Usa hanno fatto un accordo a parte con gli Houthi purché non bombardino le navi sul Mar Rosso... Ma il suo richiamo alla necessità dell'Arabia Saudita e di tutto il suo nuovo Medioriente di entrare nei Patti di Abramo tiene Israele al centro del tavolo. E questa Israele, secondo il disegno strategico di Netanyahu, dona sicurezza a tutto questo Medioriente con la sconfitta di Hamas e della Fratellanza Musulmana. La costruzione che implica emiratini, sauditi, altri Paesi come l'Egitto e la Giordania, altrimenti rischia il terremoto continuo.
Solo ieri a Fox News Trump ha ribadito la sua ammirazione per Netanyahu che «arrabbiato» per i crimini del 7 ottobre fra «i più violenti della storia dell'umanità» e «combatte duramente e con coraggio». È la realtà: le riserve tornano al fronte nell'ansia terribile delle famiglie, siamo ancora alla solitudine in cui Israele occupò Rafah, mentre la proibizione internazionale si avventa sull'onda delle mille menzogne sulla crudeltà di un esercito che unico al mondo ha cercato di ridurre al massimo le perdite civili. Se Hamas consegnasse i rapiti e le armi non ci sarebbe più bisogno di combattere, lo sa anche chi usa per attizzare l'antisemitismo la menzogna del «genocidio». Il tentativo odierno della guerra è costringere Hamas in un angolo perché consegni armi e rapiti. Arduo capire cosa c'è di così esoterico in questo, come si possa pensare che questo disegni un piacere nel combattere. Questa è una guerra di sopravvivenza. E nella condanna quasi unanime, ormai, contro la decisione di Netanyahu, c'è un'accettazione implicita dei crimini del 7 ottobre e l'assorbimento sociale delle menzogne su Israele e i suoi supposti crimini di guerra. Per esempio la situazione umanitaria che in queste ore si cerca di migliorare con forze internazionali, è stata resa drammatica proprio da Hamas che ha sequestrato il cibo armi alla mano. Tutto filmato. La morte dei civili, pure molto contenuta rispetto ai numeri di qualsiasi altra guerra (uno a uno nella proporzione coi combattenti) è stata legata alla onnivora utilizzazione di Hamas delle case, degli ospedali, delle scuole,
delle camere dei bambini e dalla proibizione alla gente a rifugiarsi nelle gallerie. La nazificazione del territorio ha provocato l'adesione popolare dall'infanzia in avanti al terrorismo e quindi l'esposizione maggiore di persone usate come complici.
Israele non può, pena la vita, lasciare in vita questa struttura. Trump qui torna in scena: il presidente che si è mosso in Medioriente alla ricerca soprattutto di una rivoluzione economica che lo renda l'innovativo salvatore di un'America in crisi, offre a Israele ancora una vasta opportunità di inserirsi in una grande gioco. Ma Israele non può accettare, pena la sua decadenza come forza militare e innovativa, che la sicurezza sia un'ombra sul suo futuro, deve combattere per la vita e anche farsi sentire sull'Iran. Le trattative con gli ayatollah hanno un andamento molto incerto, ma Trump ha più volte affermato che comunque l'Iran non avrà la bomba atomica e ieri Khamenei gli ha dato del bugiardo.
Trump ha anche evitato, pur disegnando un futuro rivoluzionario di Gaza, di parlare di stato palestinese come invece fanno gli europei; ha lasciato perdere la questione degli insediamenti. Il tavolo dei rapporti è pulito. Resta un punto interrogativo non da poco: una grande coalizione islamica, oltre al grande business, può accettare la pace con l'Occidente?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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