Macron non molla: insiste con Lecornu

Il presidente riconferma il dimissionario. Il premier: "Accetto l'incarico per dovere"

 Macron non molla: insiste con Lecornu
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Fine giornata, ma non fine crisi per la Francia. Il nome del nuovo premier è arrivato sul filo delle dieci di sera, solo che è ancora lui e così con il più classico dei «rieccolo» si presenta Sebastien Lecornu. Tutto in pochi giorni, dalle dimissioni al nuovo incarico. È un po' come sbattere la testa contro un muro. «Accetto per dovere - dice con un messaggio social su X - Farò tutto il possibile per dotare la Francia di un bilancio entro la fine dell'anno e di affrontare i problemi quotidiani dei nostri connazionali».

Un momento di «responsabilità collettiva». Così Emmanuel Macron aveva invitato i partiti francesi ieri all'Eliseo, ad eccezione del Rassemblement national di Marine Le Pen e della France Insoumise, la sinistra di Jean-Luc Mélenchon. Esclusi, «poiché hanno detto di volere lo scioglimento» dell'Assemblea nazionale; argomento sostenuto sulla base di quanto spiegato due giorni prima dal dimissionario Lecornu, secondo cui c'era una maggioranza contraria al voto legislativo. Ma la giornata ha riservato

ben altri scenari (e reazioni). Mentre la leader della destra Rn (primo partito d'Oltralpe alle scorse elezioni e in testa ai sondaggi ben sopra il 30%) denunciava la «rottura» della funzione presidenziale e del «ruolo del capo dello Stato», insistendo sullo scioglimento dell'Assemblée, come i mélenchoniani, si è aggiunta una posizione fotocopia dei comunisti francesi, inizialmente ipotizzati come stampella di un governo di coabitazione. Dopo una nuova giornata di consultazioni (stavolta guidate da Macron e non più dal premier dimissionario incaricato di sondare i partiti per 48 ore), anche la leader ecologista Marine Tondelier si è aggiunta al coro, denunciando mancanza di chiarezza da parte del presidente sul da farsi, «inquietudine crescente» sull'avvenire, e dicendosi «sbalordita» dalla posizione di Macron lasciando l'Eliseo dopo aver inteso che non avrebbe nominato un premier di sinistra, con solo qualche apertura sull'età pensionabile. Tanto che anche il segretario socialista, Olivier Faure, deluso dalla mancata apertura di Macron a un'ipotesi di governo guidato dalla gauche, ha rotto pubblicamente l'ipotetico colpo di bacchetta magica: «Tenga presente, il presidente, che allo stato attuale da parte del Ps non c'è alcuna garanzia di non censura» a un nuovo governo, ed anche il partito radicale di sinistra ha riassunto le trattative come «discussioni già avute mille altre volte». Pressioni che

hanno ritardato la scelta di Macron.

L'ipotesi di un nuovo centro allargato era stata bocciata anche dal ministro dell'Interno Retailleau: secondo il leader dei Républicains, «l'espressione zoccolo comune», con cui si sono identificati i tentativi di governare senza maggioranza chiara alle urne dall'estate 2024, «è morto domenica sera». Lo ha detto anche al presidente, a cui non ha offerto un parziale apertura «per una piattaforma programmatica, se dovesse suggerire un avvenire comune», insistendo al tempo stesso sul fatto che la sinistra non ha alcuna legittimità per governare. Silenzio radio dai macroniani. Nessuna dichiarazione da Renaissance guidato dall'ex premier Gabriel Attal, sempre più smarcato dalle scelte del suo presidente: dopo avere detto di non comprenderle più, Attal è pronto a ricostruire ciò che resta del puzzle della Macronie.

Un altro ex premier di Macron, Edouard Philippe, candidato alle presidenziali, a sua volta ha chiesto le dimissioni del capo dello Stato dopo l'approvazione di una legge di Bilancio. Ma la Francia non sa quale governo, se ne avrà uno, la scriverà.

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