Rio de Janeiro, assedio alle favelas: strage nella caccia al Comando Vermelho

Oltre 60 morti e quartieri devastati nell’operazione contro lo storico cartello. Sotto accusa la brutalità delle forze speciali

Rio de Janeiro, assedio alle favelas: strage nella caccia al Comando Vermelho
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L’alba si è alzata su Rio de Janeiro tra il fumo e il silenzio. Nei quartieri di Alemão e Penha, le strade portano ancora i segni della notte: vetri infranti, muri crivellati, sirene in lontananza.

È qui che la polizia brasiliana ha lanciato una delle operazioni più vaste degli ultimi anni contro il Comando Vermelho, il gruppo criminale che da decenni controlla il narcotraffico e parte delle favelas della città. Nel bilancio provvisorio si contano decine di morti, tra cui quattro agenti, e numerosi arresti. L’intervento, presentato dalle autorità come una risposta necessaria al potere dei narcos, ha trasformato per ore la zona nord di Rio in un teatro di guerra urbana.

Il Comando Vermelho è oggi una rete criminale capace di muovere armi, denaro e droga su scala continentale. Nel tempo ha consolidato il proprio controllo sociale nei quartieri più poveri, imponendo regole, riscuotendo “tasse” e sostituendosi spesso allo Stato in servizi di base come la sicurezza o la distribuzione di aiuti. Le autorità locali sostengono che l’operazione miri a riconquistare il controllo di territori da anni sotto dominio del gruppo. Ma l’azione arriva nel momento in cui Rio si prepara a ospitare eventi internazionali di grande visibilità e la necessità di mostrare al mondo un’immagine di stabilità potrebbe aver accelerato la decisione.

Comando Vermelho, o CV, è oggi una delle organizzazioni criminali più potenti del Sud America. Nato alla fine degli anni Settanta nelle carceri di Rio de Janeiro, durante la dittatura militare, emerse dall’alleanza tra detenuti comuni e prigionieri politici. Quella che iniziò come una rete di mutua protezione dietro le sbarre si trasformò rapidamente in una struttura criminale capace di estendere il proprio controllo ben oltre le prigioni. Negli anni Ottanta il CV si impose come forza dominante del narcotraffico brasiliano, costruendo alleanze con i cartelli andini e controllando le principali rotte della cocaina. Con il tempo, l’organizzazione si è radicata nelle favelas, dove ha sostituito lo Stato in molti aspetti della vita quotidiana: impone regole, riscuote, amministra una giustizia propria e offre protezione agli abitanti. Questa combinazione di potere economico e legittimità sociale spiega la sua resilienza.

La struttura del gruppo è fluida ma gerarchica. I capi locali rispondono a figure di vertice spesso detenute nelle carceri federali, che continuano a dirigere le operazioni tramite intermediari. Oggi il Comando Vermelho è presente in oltre la metà degli Stati del Brasile e ha esteso le sue attività in aree di confine con Colombia e Perù. Il suo fatturato criminale, stimato in centinaia di milioni di reais l’anno, proviene da traffici di droga, estorsioni e riciclaggio di denaro. Più che un cartello, il CV è una forma di potere parallelo. Dove lo Stato è assente, il gruppo riempie il vuoto con regole, servizi e controllo. È proprio questa radice sociale, oltre alla violenza armata, a renderlo una sfida duratura per le autorità brasiliane: un avversario che non si sconfigge solo con le armi, ma con politiche capaci di restituire alle periferie la presenza concreta dello Stato.

Le organizzazioni per i diritti umani parlano di un uso eccessivo della forza e chiedono chiarezza sul numero reale delle vittime. Testimoni riferiscono di scontri prolungati, autobus incendiati e civili feriti nei crossfire. L’ONU ha espresso preoccupazione, mentre il governo federale non ha ancora commentato ufficialmente. Il conflitto tra lo Stato e il Comando Vermelho è il riflesso di un problema più profondo. In molte aree di Rio, l’autorità pubblica è frammentaria e alternata a periodi di assenza totale. La criminalità organizzata prospera dove mancano servizi, lavoro e istruzione, trasformando la sopravvivenza in un’economia parallela.

Per i residenti delle favelas, la promessa di sicurezza suona ambigua.

Ogni blitz lascia dietro di sé lo stesso scenario: scuole chiuse, strade deserte, comunità traumatizzate. Tra i muri colpiti dalle raffiche di mitra, la paura convive con il disincanto di chi sa che, dopo ogni operazione, tutto rischia di tornare come prima.

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