Nella notte che precede il voto per la carica di sindaco di New York, il confronto tra il presidente Donald Trump e il candidato progressista Zohran Mamdani si è caricato di toni durissimi, segnando una svolta significativa nella corsa elettorale di una città che osserva e viene osservata dal mondo.
Trump, intervenendo in un’intervista televisiva e attraverso i suoi post sui social, ha accusato Mamdani di essere “un comunista”, sostenendo che le sue politiche metterebbero a rischio il futuro economico e sociale della metropoli. Ha poi aggiunto che, se Mamdani dovesse vincere, sarebbe difficile per la Casa Bianca continuare a garantire alla città “molti soldi federali”, trasformando così la contesa locale in un monito nazionale.
Anche il console generale di Israele a New York ed ex ministro del Likud Ofir Akunis ha attaccato il principale candidato democratico a sindaco di New York. Mamdani, afferma, rappresenta un "chiaro e immediato pericolo per la comunità ebraica" di New York a causa del suo sostegno alle manifestazioni pro-palestinesi in città. Per Akunis, riporta Haaretz, l'elezione di Mamdani rappresenterebbe una "minaccia chiara e immediata per le istituzioni ebraiche e le sinagoghe, la maggior parte delle quali sono sorvegliate dal Dipartimento di Polizia di New York".
BREAKING Donald Trump JUST ENDED Zohran Mamdani in a single post and calls for everyone to vote for Andrew Cuomo, there is no choice
— MAGA Voice (@MAGAVoice) November 3, 2025
DO NOT VOTE FOR COMMUNIST MAMDANI
SAVE NEW YORK CITY pic.twitter.com/y9nlMwJxgr
Mamdani ha reagito immediatamente, definendo le parole del presidente “una minaccia politica” e sottolineando che i fondi federali non sono un favore del governo, ma un diritto della città. Le sue dichiarazioni mirano a difendere l’autonomia municipale di fronte a quella che interpreta come un’ingerenza senza precedenti. Per il giovane candidato, figlio di immigrati ugandesi, l’attacco di Trump rappresenta una conferma della rilevanza che la sua figura sta assumendo nel panorama politico nazionale.
Il presidente, che da sempre considera New York un palcoscenico personale, ha voluto mandare un segnale politico più ampio. Le sue parole sembrano dire agli elettori americani che una vittoria di Mamdani sarebbe la prova del dominio crescente dell’estrema sinistra nel Partito Democratico. Per questo motivo ha evocato, anche se in modo ambiguo, l’ex governatore Andrew Cuomo come alternativa più “ragionevole”. In un passaggio diventato virale, ha persino ironizzato sulla sua presunta superiorità estetica: "Credo di essere molto più bello di lui", ha detto con il tono sarcastico che lo caratterizza.
Il conflitto ha travalicato i confini cittadini. New York, capitale morale e finanziaria del Paese, è oggi un terreno simbolico su cui si misurano due visioni opposte dell’America. Sul piano istituzionale, la minaccia di Trump appare più retorica che concreta: senza l’approvazione del Congresso, il presidente ha margini limitati per tagliare fondi già stanziati. Ma l’effetto politico è reale, perché riporta in superficie la tensione tra centro e periferia, tra potere federale e autonomie locali.
Le ultime rilevazioni mostrano che Mamdani mantiene un vantaggio solido. Un sondaggio della Marist University del 24-28 ottobre lo dava al 46 % circa, contro il 32 % di Cuomo. Un altro rilevamento aggregato lo collocava al 45,7 % circa, con Cuomo al 32 %. Questi dati confermano la leadership di Mamdani, sebbene ribadiscano che l’elettorato resta fluido e che scenari diversi (in caso di ritiri o riassetti) potrebbero cambiare la situazione.
La grande maggioranza dei finanziamenti federali — per infrastrutture, trasporti, sanità, sicurezza o scuola — è stanziata dal Congresso attraverso il bilancio. Il presidente può influenzare le priorità o proporre modifiche, ma non può bloccare unilateralmente i fondi già approvati senza violare il principio di separazione dei poteri. Il cosiddetto Impoundment Control Act del 1974 proibisce, infatti, al presidente di trattenere o sospendere fondi votati dal Congresso senza il consenso delle Camere. Trump, cosa può fare realmente? Come qualunque presidente, può ritardare temporaneamente l’erogazione di fondi, sollevando questioni amministrative o burocratiche oppure influenzare la distribuzione discrezionale di alcune categorie di finanziamenti (ad esempio fondi per sicurezza o trasporti).
Ma tutto ciò resta politicamente rumoroso e giuridicamente limitato: i tribunali federali hanno più volte bloccato tentativi simili (ad esempio nel 2017, quando cercò di tagliare i fondi alle sanctuary cities).