
La storia delle operazioni industriali, bancarie e finanziarie tra grandi imprese italiane e francesi è lunga e ha sempre avuto al centro l'incognita su chi, alla fine, avrebbe comandato. Con rare eccezioni (tra cui Essilor-Luxottica) l'hanno spuntata più spesso i francesi, soprattutto per la loro capacità di fare sistema e contare sul ruolo attivo dello Stato. Per noi italiani si è trattato di rinunciare alla proprietà di interi pezzi della nostra industria, si pensi alla moda o alla grande distribuzione. Oggi la storia si ripete con due grandi settori sotto i riflettori: quello dell'auto, con la drammatica crisi della Fiat, finita dal 2021 sotto l'ala del gruppo Stellantis, e quello del risparmio gestito e assicurativo, che mette sul tavolo la possibile prossima integrazione tra le ingenti masse gestite da Generali e quelle del gruppo Natixis, compresi 37 miliardi di debito pubblico italiano custoditi a Trieste.
Prima ancora di conoscere i dettagli delle singole operazioni, dosando buon senso e realtà dei fatti, il pensiero che dopo la nostra principale industria manifatturiera anche quella finanziaria finisca in mani francesi non pare - per noi italiani - una grande idea. La realtà l'abbiamo sotto gli occhi proprio con Stellantis, che ha appena cacciato il suo strapagato Ceo Carlos Tavares e che nel 2024 ha visto le vendite in Italia scendere del 30% e per le sole auto del 40%, con gli stabilimenti produttivi tutti in rosso e nessuna credibile strategia che affronti la transizione green imposta da Bruxelles. I marchi italiani, a partire dalla Fiat, sono quelli che più soffrono. Quelli francesi come Peugeot e Citroen, tra i meno in crisi. Si potrebbe andare avanti, ma non è questo il punto. La questione è valutare costi, benefici e opportunità di progetti industriali che nascono o vivono oggi sull'asse Italia-Francia, in questo particolare momento storico. Perché l'attualità politica ed economica ci dice che i rapporti di forza tra Roma e Parigi sono oggi molto diversi dalla consuetudine del passato. Se dal dopoguerra in poi i francesi hanno potuto giocarsi un ruolo di leader tra i Paesi europei, dal quale discendeva quella capacità di fare «sistema» che finiva prima o poi per prevalere nella partite economiche e finanziarie con l'Italia, oggi le cose non sono più tali. Anzi, il rapporto è ribaltato.
Lo è, prima di tutto, nella politica, dove il governo stabile, forte e con davanti una prospettiva programmatica di lungo periodo sta a Palazzo Chigi, non all'Eliseo. A Parigi solo nel 2024 si sono alternati quattro diversi premier e dalle urne è uscita una situazione di instabilità destinata a durare. Mente Roma incassa ormai a livello globale la palma dell'esecutivo più stabile d'Europa. Ne consegue anche il ribaltone economico-finanziario. E prospettive cupe: come ha appena dichiarato Olivier Blanchard, già capo economista del Fmi, «i partiti francesi non sono ancora pronti ad accettare di fare quello che è necessario. Servirà una crisi di bilancio o forse una crisi finanziaria». In altri termini Parigi presenta quei conti fuori controllo che richiedono riforme e quei famosi «compiti a casa» che noi italiani ben conosciamo e abbiamo già fatto. Loro no, come dimostra il deficit 2024 fuori controllo, oltre il 6,1% del Pil contro il 3,4 atteso per l'Italia. Non è un caso che nel 2024 il debito d'Oltralpe sia stato declassato da entrambe le big Usa del rating sovrano, Moody's e S&P. Lo spread resta migliore, ma se nel 2023 il differenziale con i bund era un terzo del nostro (50 su 150), ora ci dividono solo una trentina di punti base (80 a 113 le ultime chiusure sui mercati).
Ecco perché
qualsiasi operazione sul solco dei passati rapporti di forza, oltre ad apparire come un regalo bello e buono, sarebbe oggi più che mai anacronistica. E rischiosa per l'utilizzo che un Paese così in crisi ne potrebbe poi fare.
meno che mai il nostro debito pubblico,che anzi va fatto rientrare totalmente in patria,riportando gli interessi pagati ad arricchire noi invece che gli altri paesi.
oltretutto si è ben visto che non hanno remore a interferire pesantemente nella nostra politica,strozzandoci con lo spread ogni volta che facciamo qualcosa che non garba
alla ue e agli usa.