
Caro direttore Feltri,
un profondo scoramento mi assale, vedendo quanto il popolo ebraico stia ancora soffrendo per l'ondata di antisemitismo che si è scatenata dopo il 7 ottobre 2023 ed i fatti di Gaza. Io che bambino, poco dopo la fine della guerra, mi recai con tutta la famiglia a trovare una coppia di coniugi ebrei che erano stati tenuti nascosti da mia nonna durante il periodo bellico, io che ho sempre negli occhi e nella mente le prime immagini scioccanti dei campi di sterminio nazisti proiettate nei cinema e nelle scuole, io che ricordo con profonda emozione il Diario di Anna Frank, anche nella magistrale trasposizione teatrale della compagnia
De Lullo, Falk, Valli, Guarneri, io che ricordo le varie battaglie sostenute da Israele con il mondo arabo, che non ha mai tollerato la sua nascita e tuttora, in larga parte, ne auspica l'annientamento, non riesco a capacitarmi del nuovo crescente odio nei suoi confronti. Chi blatera di genocidio a Gaza reca una gravissima offesa a quei milioni di ebrei uccisi dalla furia nazista, che li cercava casa per casa con lo scopo di un loro totale sterminio. Non mi risulta che un simile trattamento venga attualmente riservato, ad esempio, ai palestinesi residenti in Israele: le parole a volte pesano come macigni ed in questo caso evocano, a sproposito, uno sterminio
di massa che non è nei fatti. Chi non ha vissuto in proprio gli immani crimini nazisti, penso non riesca a capire fino in fondo cosa alberghi nel cuore di chi ne è stato oggetto: un terrore infinito tramandato di generazione in generazione che porta a lottare con ogni mezzo per evitare che il tutto si ripeta. Non solo io, ma penso tutti i lettori, gradiremmo conoscere la sua analisi in merito. Cordialmente,
Alberto Tonini - Milano
Caro Alberto,
le tue parole contengono verità incancellabili. E colpiscono, perché non vengono da un'ideologia o da un pregiudizio, ma da una memoria viva. Tu hai conosciuto, fin da bambino, l'odore della Storia vera, quella che non si scrive sui muri o sui social, ma che si vive sulla pelle. Sei figlio di quella parte d'Italia che ha avuto il coraggio di proteggere gli ebrei quando proteggerli voleva dire rischiare la propria pelle. E oggi, da uomo libero, che ha visto e conosciuto il riflesso dell'orrore, sei giustamente scandalizzato.
Sì, caro Alberto: c'è un ritorno prepotente dell'antisemitismo in Europa. Lo denuncio da due anni. Ed è un antisemitismo mascherato da antisionismo, un odio che si ammanta di slogan umanitari, ma che in realtà ricalca gli stessi identici stereotipi secolari sul popolo ebreo potente e cattivo, colpevole ora di difendersi. Quelli che oggi strillano «genocidio», come fa una certa signora Francesca Albanese, così
come esponenti di sinistra, dovrebbero sapere che la parola ha un peso. E usarla a sproposito non è soltanto prova di ignoranza, ma anche una forma di complicità morale con chi vuole delegittimare lo Stato d'Israele, o peggio ancora, giustificare la violenza contro gli ebrei ovunque nel mondo. Soprattutto quando quel grido viene dopo il 7 ottobre, una data che la storia non potrà ignorare: un massacro a sangue freddo, una carneficina di civili, bambini, donne, vecchi. E chi oggi nega, minimizza, o peggio ancora assolve, si prende la responsabilità di tenere in mano lo stesso fiammifero che accese Auschwitz.
Tu citi con emozione Anna Frank. Anche io ho amato quel diario. Ma oggi non abbiamo bisogno di scritture nascoste in un solaio. Abbiamo video, immagini, prove, testimonianze. L'orrore è alla luce del sole. Eppure lo si nega. Questo è ciò che più mi inquieta.
Israele è uno Stato circondato da nemici che non ne vogliono il ridimensionamento,
ma la cancellazione, sua e del suo popolo. Hamas non chiede due Stati: ne vuole uno solo, senza ebrei. E lo vuole a costo di usare i palestinesi stessi come scudi umani. È questa la differenza che in molti si rifiutano di vedere: Israele adopera le armi per difendere la sua gente, Hamas adopera la sua gente per difendere le armi.
Tu hai detto bene: chi non ha vissuto il terrore nazista non può capirlo davvero. Ma dovrebbe almeno avere il pudore di rispettare le vittime. E non stracciarsi le vesti soltanto quando conviene ideologicamente.
Perché un bambino ebreo massacrato in un kibbutz non è meno innocente di un bambino palestinese sotto le bombe. E se si piange l'uno e si ignora l'altro, allora non si è pacifisti. Si è complici del terrore.Ti ringrazio per la tua lettera, che costituisce una lezione di dignità.