Gli Stati Uniti e l'ombra di un attacco contro il Venezuela: ecco il (vero) piano di Trump

Nei Caraibi è in corso il più imponente dispiegamento aeronavale dai tempi della crisi dei missili cubani del 1962. Nonostante le minacce e la potenza di fuoco, Trump non vuole invadere il Venezuela

Gli Stati Uniti e l'ombra di un attacco contro il Venezuela: ecco il (vero) piano di Trump

Donald Trump ha recentemente dichiarato ai microfoni della CBS che il suo acerrimo rivale, il presidente venezuelano Nicolás Maduro, avrebbe i giorni contati. Quelle parole, che in molti hanno interpretato come il presagio di un'incombente invasione del Venezuela, in realtà esprimono più un desiderio del tycoon che un reale proposito di guerra.

Il piano di Trump, che gli è stato suggerito dal suo factotum Marco Rubio, va al di là di Maduro e del Venezuela e riguarda l'intero emisfero occidentale: ripristinare l'egemonia statunitense nelle Americhe, dove la dottrina Monroe è andata sperimentando un declino relativo nel corso del Duemila, con l'obiettivo di avere un "giardino di casa" libero dalle interferenze di Russia, Cina e Iran entro il 2028.

Pace attraverso la forza

Se il Trump uno e il Trump bis hanno insegnato qualcosa è che l'attuale presidente degli Stati Uniti non è un uomo che ama la guerra. Fautore del concetto di "peace through strength", ovvero "pace attraverso la forza", Trump vede nelle sanzioni, nei dazi e negli spettacoli muscolari, come gli attacchi scenografati - crisi Iran-Israele dello scorso giugno - o chirurgici - la campagna di strike sui presunti narco-battelli al largo delle coste venezuelane -, un mezzo per un fine: la vittoria senza combattimento reale né sforzo eccessivo.

In Venezuela, dove al governo si trova uno degli ultimi bastioni di antiamericanismo dell'emisfero occidentale, Trump sta attuando una campagna di massima pressione a intensità crescente avente come obiettivo la caduta indolore di Maduro. Minacciare un'invasione per spingere Maduro a rassegnare volontariamente le dimissioni oppure convincere qualcuno dei suoi fedelissimi, tra straordinaria pressione militare e generosi incentivi economici - una taglia da cinquanta milioni di dollari sul capo del leader venezuelano -, a consumare uno degli atti di sedizione più caratteristici di questa regione del pianeta: il golpe, un colpo di stato.

La pressione militare è stata calibrata in maniera tale da rendere credibile la minaccia di un'invasione. Alla data odierna, 4 novembre, nei Caraibi meridionali si trovano infatti i cacciatorpedinieri lanciamissili USS Stockdale, USS Lake Erie e USS Gravely, la nave d'assalto anfibio Iwo Jima, cacciabombardieri B1-B, bombardieri strategici B-52 e caccia multiruolo F-35. Altri rinforzi sono in arrivo. Era dal 1962, anno della crisi dei missili cubani, e dal 1994, anno dell'operazione Upholding Democracy ad Haiti, che lo stagno caraibico non era così tanto militarizzato.

Soldati, sanzioni e strike

A parte l'agitamento dello spettro di un'invasione militare, Trump ha aumentato la pressione sanzionatoria sul Venezuela e ne ha delegittimato l'intero governo accusandone i membri, a partire da Maduro, di comporre un'organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti: il cosiddetto cartello dei soli. L'assunto alla base di questa accusa è il seguente: gli Stati Uniti accusano il governo Maduro di complicità in attività di narcotraffico e narcotraffico, dunque chi sceglie di fare affari con esso è un complice dei suoi crimini.

Sta funzionando. In agosto è stata introdotta una mozione all'Europarlamento per riconoscere il cartello dei soli come un'organizzazione terroristica, che, se approvata, aumenterebbe enormemente l'isolamento diplomatico del e la morsa finanziaria sul Venezuela, convertendolo in un paria.

In concomitanza con la costruzione di un cerchio di fuoco al largo del Venezuela, l'amministrazione Trump ha anche avviato delle operazioni aeree e dronistiche di tipo chirurgico alle sue coste. Ufficialmente, l'obiettivo è quello di disincentivare il trasporto di droga grezza dal Venezuela al Nordamerica. Il bilancio alla data odierna è di 61 morti in 14 strike. Anche qui, l'obiettivo, in realtà, è un altro: assicurarsi che l'industria petrolifera venezuelana, già sanzionata, riduca le esportazioni di oro nero verso il mercato cinese e altri acquirenti.

Oggi il Venezuela, domani le Americhe

Le gravissime accuse di narcotraffico e narcoterrorismo servono a isolare diplomaticamente il governo Maduro, l'accerchiamento militare serve a spaventare le forze armate bolivariane e a frenare i flussi di petrolio sanzionato, le taglie poste sul capo di Maduro e dei suoi ministri e gerarchi militari servono a incentivare alla meglio un golpe e alla peggio uno o più omicidi politici, le sanzioni, infine, chiudono il cerchio di questa guerra non guerreggiata che rasenta la perfezione.

Isolato diplomaticamente, accerchiato militarmente e strozzato economicamente, il Venezuela di Maduro potrebbe davvero essere agli sgoccioli. Cuba e Nicaragua, altri avamposti di antiamericanismo che l'amministrazione Trump ha già messo nel mirino, sono le prossime nella lista.

Non è detto che Trump otterrà ciò che vuole, certo è che farà di tutto, tra guerre commerciali e operazioni ibride, per ottenerlo.

Ne va della sopravvivenza politica della sua visione del mondo, Make America Great Again, che dipende in larga parte, oltre che dallo stabilimento di un modus vivendi con Russia e Cina, dalla capacità di (ri)egemonizzare l'emisfero occidentale. La ricostruzione della Fortezza America passa dalla caduta del Venezuela. Ai posteri l'ardua sentenza.

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